La violenza contro questo popolo non si è mai fermata.
Quello che oggi è veramente scandaloso, anche se non è proprio una novità, è il modo in cui l’informazione sta trattando questa tragedia palestinese. Mai come in questi giorni, è stata così massiccia e fuorviante.
La maggioranza dei quotidiani e televisioni, non hanno fatto altro che urlare il proprio sostegno ad Israele, per difendere la sua “Democrazia”. Si sentono solo frasi, ripetute tantissime volte, come: “razzi su Israele”, “vogliono distruggere Israele”, “sono dei fanatici e terroristi” e “con loro non si può trattare”. Nessuna parola invece sulla responsabilità d’Israele per quello che sta succedendo.
E’ invece chiaro che il problema “islamista”, in realtà, è un falso problema, soprattutto se si guarda al comportamento tenuto negli anni dal governo israeliano.
Per anni Israele ha perseguito sia i movimenti palestinesi laici e moderati, che i gruppi della sinistra marxista. Come per esempio, incarcerando o uccidendo i dirigenti o militanti del Fronte Popolare per la Liberazione della Palestina, favorendo così l’ascesa dei movimenti islamici.
Per il governo israeliano, quindi, non ha importanza se sei islamico, comunista, moderato, laico, sei palestinese, quindi, rappresenti il nemico e devi essere eliminato o reso inoffensivo.
Da anni questo modo d’operare è parte integrante della politica di Netanyahu accentuata ancor più dalla necessità di riuscire, in ogni modo possibile, a rimanere ancora in carica, per non finire in carcere per corruzione. Israele, infatti, sta attraversando una profonda crisi politica e sociale: 4 elezioni in 2 anni e senza fine.
A Netanyahu interessa solo la sua carriera politica, non vuole la pace, non vuole la verità, non vuole i giornalisti e lo dimostra nei fatti. Il 15 maggio, infatti, ha fatto distruggere a Gaza l’edificio che ospitava gli uffici di Al-Jazeera e Associated Press.
Anche Moni Ovadia, a questo proposito, ha affermato che il conflitto israelo/palestinese risiede nella grande manipolazione mediatica, informativa messa in campo dal governo israeliano, con un apparato formidabile di propaganda. Per cui, loro si comportano sempre come se fossero le “vittime”.
Quello che avviene in Palestina o nei paesi arabi dove risiedono i profughi palestinesi da 73 anni, è raccontato da pochi quotidiani, mentre sarebbe doveroso farlo. Narrare la storia com’è nella realtà dei fatti, senza nascondere nulla. Bisogna sapere e capire quello che è stato e che sta succedendo ora, solo così è possibile informare correttamente le persone, in modo che possano poi decidere da che parte stare.
Il 15 maggio scorso, i palestinesi hanno ricordato la Nakba “La Catastrofe”. E’ il giorno dell’espulsione dalla loro terra, dalle case e villaggi. Espulsione eseguita dall’esercito israeliano con lo scopo di ripulire quel territorio dalla presenza dei palestinesi.
Israele è l’occupante di una terra che non gli appartiene.
Il 29 novembre 1947 l’Assemblea Generale dell’ONU con la Risoluzione 181 (unica Risoluzione accettata da Israele) raccomanda la spartizione della Palestina in due stati: uno, arabo palestinese e l’altro ebraico e una zona internazionale con Gerusalemme sotto la giurisdizione dell’ONU.
La parte araba era composta da circa 1.250.000 arabi palestinesi e le viene assegnato il 42,88% di territorio palestinese, mentre a quella ebraica con 600.000 ebrei il 56,47%.
Il 15 maggio 1948, decaduto il Mandato Britannico sulla Palestina, le forze sioniste guidate da Ben Gurion autoproclamarono la nascita dello Stato d’Israele. Con la Nakba furono espulsi 815.000 palestinesi e la distruzione di circa 530 villaggi.
L’obiettivo dei sionisti era: il massimo della terra con il minimo possibile di arabi.
La Nakba ha segnato così l’inizio della Diaspora palestinese che ad oggi ha raggiunto il numero di circa 8milioni di profughi palestinesi nel mondo.
Bisogna anche sapere che Gerusalemme continua ad essere occupata militarmente; i palestinesi di Gerusalemme non hanno un passaporto, sono considerati residenti temporanei nelle loro case, a loro non sono concessi permessi per costruire nuove case e da anni sono scacciati e deportati.
Nessuno poi, parla dei coloni, delle loro aggressioni quotidiane contro le persone, le case, le greggi, gli ulivi, il furto di terra, acqua e risorse in tutta la Cisgiordania.
I Palestinesi dunque esistono e l’hanno voluto ricordare ad un Occidente molto distratto.
L’hanno dimostrato i Gazawi nella Grande Marcia del Ritorno, durata 86 settimane a partire dal 30 marzo 2018. Secondo l’ONU, più di 33.000 persone sono state ferite durante queste proteste, alcune così seriamente da dover subire l’amputazione di arti. Le vittime includono uomini, donne, bambini, personale medico, persone con disabilità, giornalisti e altri.
I Palestinesi sono un popolo che vive ancora sotto l’ultima occupazione nel mondo, la più feroce, mantenuta con guerre, massacri, soprusi di ogni genere, esercitati da un governo.
Cosa c’è quindi di meglio per distogliere l’attenzione da tutto questo, se non provocare una motivazione per attaccare i palestinesi?
Amira Hass, per esempio, punta il dito contro “la stupidità d’Israele”, responsabile di aver infiammato una città divisa, Gerusalemme. “La stupidità è l’arroganza di un paese convinto di essere onnipotente, che ha finito per costruire un muro di ferro per proteggere il suo reame da una rivolta inevitabile.”
Una rivolta che non si è mai fermata, ma che nell’ultimo mese a Gerusalemme est è esplosa più forte che mai.
Il 22 aprile scorso, infatti, sono iniziati violenti scontri tra militanti di estrema destra israeliani, palestinesi e polizia. Le forze dell’ordine israeliane hanno sparato proiettili di gomma e numerose granate assordanti vicino alla Porta di Damasco, nel cuore della Città Vecchia, causando il ferimento di 105 palestinesi, di cui 22 costretti a cure mediche. Lo slogan urlato era uno solo: “Morte agli arabi”.
Un mese fa sono entrati a far parte del Parlamento israeliano (la Knesset) gruppi fanatici che si sentono legittimati a compiere atti di odio: il partito di estrema destra Otzma e il partito Sionismo religioso. Il governo israeliano di fronte a questi attacchi ha mantenuto un rigoroso silenzio.
Come ultimo episodio c’è stato poi l’ordine di sfratto nei confronti di alcune famiglie palestinesi nel quartiere di Sheikh Jarrah, sempre a Gerusalemme est. Queste proteste sono oggi viste come il casus belli di questa ultima guerra.
Un’operazione, in realtà, da parte dei coloni per prendersi case, abitate già da famiglie palestinesi quando la Palestina faceva ancora parte dell’Impero Ottomano. Successivamente poi la Giordania in accordo con l’Unrwa, costruì nel 1956 altre abitazioni per famiglie palestinesi che erano state espulse dalle città in cui vivevano prima del 1948. Addirittura, nel corso poi degli anni ‘60, in cambio della rinuncia dello status di rifugiati, il governo giordano aveva anche promesso a queste famiglie di diventare proprietarie delle loro case. Ma tutto si interrompe poi con la guerra del 1967, dove Amman perde il controllo dei territori e Israele invece procede con le annessioni.
La conquista dei territori nel ‘67 e l’occupazione israeliana di Gerusalemme est, hanno rafforzato le rivendicazioni dei coloni israeliani che da sempre vogliono cacciare i palestinesi dalla città per prendersi tutta l’area che comprende la città vecchia ed i territori circostanti.
Gli sfratti, ad esempio, su questa precisa intera area, rafforzerebbe la posizione di 500 coloni, che attualmente non avrebbero diritto di potervi risiedere, costringendo così quasi 10mila palestinesi a vivere ai suoi margini.
Quando i palestinesi sono fuggiti dalle loro case sotto la minaccia dell’esercito israeliano, sono stati successivamente dichiarati “assenti” e i loro beni espropriati e venduti allo Stato o al Fondo nazionale ebraico. In questo modo, con enorme ingiustizia, lo Stato d’Israele ha costruito il suo “Diritto di proprietà”. Ha promulgato, inoltre una legge che solo gli ebrei e non i palestinesi, sia cristiani che musulmani, hanno il diritto di reclamare la proprietà di una terra o abitazione, presentando documenti e contratti precedenti al 1948.
La guerra in Israele è anche una guerra demografica, in quanto il popolo palestinese ha il tasso di natalità più alto al mondo. E’ un popolo giovane. Il popolo palestinese conta quasi 13 milioni di persone, di cui il 60% è al di sotto dei 50 anni d’età. Meno della metà vive nella Palestina storica, l’altra metà è stata costretta a scegliere la via della diaspora verso altri paesi arabi, come la Giordania, Libano, Siria, Egitto, Iraq, ma anche verso l’Europa e l’America. Due terzi del popolo palestinese vive la condizione di profugo, dentro campi dove deve sottostare a condizioni disumane, come in Libano, Cisgiordania e Striscia di Gaza.
Tra il governo d’Israele e quello americano c’è una grande alleanza. Si può tranquillamente affermare che Israele può essere considerato il 51° Stato degli Stati Uniti d’America. Un motivo per il quale, ad Israele è stato sempre concesso di operare sempre al di sopra della legge internazionale e di ignorare tutte le Risoluzioni approvate nei suoi confronti dalle Nazioni Unite.
Israele ha rubato al popolo palestinese la vita, la terra, l’acqua, la serenità, il futuro, i sorrisi, la cultura, la storia, la cucina, ma non è riuscito ad impossessarsi della sua dignità e del suo orgoglio di appartenere a quella terra di Palestina.
Dopo le proteste a Gerusalemme, la crisi si è allargata alla Cisgiordania dove ci sono stati molti scontri con l’esercito israeliano, e per la prima volta, anche ad alcune città israeliane con una popolazione a maggioranza araba, come a Lod, Nazaret, Giaffa, Haifa e Acri.
E’ stato subito dichiarato lo stato d’emergenza. L’ondata di violenza non poteva non raggiungere anche Gaza a cui è chiesto di pagare sempre il prezzo più alto.
Netanyahu l’aveva detto: prima o poi gli aerei israeliani sarebbero tornati a bombardare quella striscia di terra. Perché a Gaza risiedono e si nascondono i terroristi!
E’ bastato impedire l’accesso nel giorno del ramadan alla spianata della moschea per ottenere la provocazione necessaria. Hamas aveva lanciato ad Israele un ultimatum di liberare la moschea e l’area circostante entro le due di notte, minacciando una forte offensiva. L’ultimatum è rimasto volutamente inascoltato. Inizia così quindi l’attacco.
Gaza è una questione politica e quando fa comodo, si arriva a Gaza, E’ sempre colpa di Gaza!
Gli Accordi di Oslo nel 1994, per esempio, sono stati la base per separare la Cisgiordania dalla Striscia di Gaza ed impedire di costruire uno Stato Palestinese unito: Cisgiordania, Gaza e Gerusalemme. E’ solo, infatti, per questo motivo che fu necessario il ritiro unilaterale israeliano da Gaza nel 2005. Un passo strategico per lasciare un terzo di popolazione, circa 2 milioni, al loro destino, separato dagli altri palestinesi.
Gaza è di nuovo così sotto attacco, come nel 2008, 2012 e 2014.
Israele continua a dichiarare di aver colpito solo gli obiettivi che riguardano Hamas, Jihad ed altre organizzazioni, compreso le abitazioni di capi militari e politici, rampe di lancio di razzi, unità mobili o uccidendo miliziani armati. Purtroppo, in realtà, non è successo solo questo.
I social riportano infatti, anche attraverso video, tantissime storie di civili uccisi e feriti. Edifici colpiti da missili che crollano come se fossero di carta. I palestinesi di Gaza non hanno rifugi dove cercare la salvezza e non possono neanche scappare da quei territori.
Il premier Netanyahu avrebbe anche detto al Presidente americano Biden che Israele “fa di tutto per evitare di colpire persone non coinvolte”. Ma i numeri dei morti civili è in continuo aumento e il 42% , secondo i dati del ministero della salute palestinese, sono donne e bambini. Come se non bastasse, il Jerusalem Post, riferisce che lunedì scorso 17 maggio, il Presidente americano Biden ha approvato un accordo del valore di 735 milioni di dollari per la vendita ad Israele di missili e munizioni speciali. Il Parlamento americano ha 20 giorni di tempo per fare ricorso contro questo provvedimento che, difronte a quello che sta succedendo, sembra proprio “la soluzione finale” per chiudere la questione palestinese in un unico modo: la loro totale eliminazione. Ma per attuare questo progetto non hanno tenuto conto della forza, della determanazione e della resistenza che questo popolo è in grado di esprimere. In Palestina i palestinesi ci sono e ci saranno sempre e Israele prima o poi dovrà fare i conti con questa cosa.