STRAGE DEL SANT’ANNA E LA QUESTIONE CARCERI

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Il secondo anniversario della strage del 8 marzo 2020 nel carcere Sant’Anna di Modena, ha riportato alla luce la “questione carceri” (1)

A livello politico non si sente più parlare del sistema carcerario, non viene più messo in discussione, da nessuna forza politica al limite, più che discutere su come migliorare le condizioni di vita, si teorizza su come diminuire il numero dei suoi “ospiti”. Ma, il carcere non migliora le persone, non le educa, anzi, è tutto il contrario.

Il sovraffollamento, la mancanza di assistenza sanitaria, le negazioni dei diritti umani di base, l’inattività, le condizioni fisiche delle varie strutture fatiscenti e la violenza dell’istituzione carceraria, fanno sì che le persone detenute diventino ancora più violente e aggressive. Ed è per questo, che il nostro sistema carcerario andrebbe cancellato. Le carceri, riorganizzate o chiuse. Innanzitutto, dovremmo prendere in considerazione e provare a costruire, un altro tipo di società. Una società diversa rispetto a quella di oggi.

Non più uno Stato-Nazione, ma la costruzione di una società che metta al centro le persone, nel rispetto e nella convivenza tra le varie etnie, con parità di genere, un’ecologia sociale, ambientale ed una economia condivisa. In poche parole, costruita secondo i dettami del sistema del Confederalismo Democratico, base fondante del pensiero di Abdullah Ocalan, leader del popolo curdo, che si trova dal 1999 in totale isolamento sull’isola-prigione di Imrali in Turchia.

Un esempio della messa in pratica del Confederalismo Democratico, lo possiamo trovare nel campo di Makhmour in Irak (2). Un campo profugo abitato ad 13/14mila persone, dove non esiste un sistema carcerario come il nostro. Un luogo dove il principio base sta nel concetto che, se una persona sbaglia e commette un reato, non è colpa del singolo ma della società in cui vive perchè, in qualche modo, non è riuscita a trasmettere quei valori necessari per condurre una vita dignitosa e nel rispetto di tutti i componenti sociali che la compongono.

In questo contesto, in caso di un reato, viene convocata un’Assemblea Popolare Pubblica, dove, per prima cosa, viene ascoltata la parte lesa. Viene poi discusso quello che è successo e l’Assemblea, decide quale provvedimento prendere. Nel caso in cui non si riesca ad arrivare ad una decisione unitaria, si coinvolge l’istanza superiore, ossia, il “Comitato dei saggi”.

Questo sistema nelle nostre società si può considerare, un’utopia, anche per le diverse organizzazioni sociali e culturali. Soprattutto risulta certamente, più facile applicare questo metodo a piccole comunità ma, non ci si può esimere dal cominciare a riflettere su come poter migliorare queste strutture. A partire, dal mettere al centro le persone e la loro dignità.

La prima domanda che spontaneamente sorge è: chi sono i detenuti delle nostre carceri? Quali crimini hanno commesso?

Nella maggioranza dei casi sono persone, spesso stranieri senza permessi di soggiorno, che commettono piccoli reati. La maggior parte incarcerati per furti al patrimonio o per spaccio. Reati che spesso, la giustizia purtroppo non punisce in egual modo ma soprattutto si esprime non tenendo conto delle caratteristiche sociali in cui il processato ha vissuto o il tessuto sociale da cui proviene. 

Da questo punto di vista, il carcere è utile ai governi, in quanto, attraverso questo sistema diventa più semplice allontanare chi è “scomodo” o inutile.

Non vanno dimenticati anche i tanti detenuti politici chiusi in carcere di altri paesi “amici”, come Egitto, Turchia, Israele o Iran, incarcerati senza un degno processo, ma solo per semplici accuse non provate. Lo strumento più usato e che dovrebbe essere invece soppresso in tutti i paesi, è l’uso della “detenzione amministrativa” (3), tramite la quale, si può rimanere in carcere mesi o anni, senza essere mai stati sottoposti a nessun processo.

Le carceri, da secoli, sono un argomento difficile d’affrontare, perché hanno a che fare con l’esercizio del Potere. Un argomento molto delicato e difficile da considerare, superando il concetto di vendetta, specialmente quando difronte abbiamo stupratori, pedofili e mafiosi.

Le carceri, in verità, sono lo specchio della società, ne riflettono tutti i suoi problemi e, nel momento in cui si smette di parlarne, di dialogare con chi vi è rinchiuso o ci lavora, le contraddizioni non possono che far esplode la rabbia.

Un altro problema è quello del “dopo carcere”. Quando si ritorna fuori dalle sue mura e si deve ritornare a vivere in una società che ti rifiuta, in quanto ex galeotto, spesso si rientra in un circuito in cui la tua vita di conduce a ritornare al punto di partenza. Tutto ricomincia e si torna a delinquere.

Oggi bisognerebbe sempre ricordare una frase importante del grande pensatore illuminista Voltaire:
“Non fatemi vedere i vostri palazzi, ma le vostre carceri perché è da esse che si misura il grado di civiltà di una nazione”.

Link:

1 – http://alkemianews.it/index.php/2022/03/13/strage-sant-anna/

2 – http://alkemianews.it/index.php/2018/12/18/il-campo-profughi-di-makhmour-kurdistan-bashur-1-parte/

3 – https://www.antigone.it/tredicesimo-rapporto-sulle-condizioni-di-detenzione/01-detenzione-amministrativa/