A distanza di un anno pesano ancora sulla città, quei 9 morti del carcere Sant’Anna di Modena.
É passato un anno da quella rivolta scattata a causa dell’ulteriore isolamento dei reclusi dai famigliari con la scusante del ridurre la possibilità di aumentare il contagio all’interno del carcere. Una restrizione aumentata nell’impossibilità di ricevere dei pacchi dalle famiglie e di poter comunicare con loro, anche attraverso strutture di separazione o telefonicamente. Nove morti, una tragedia annunciata, che si è compiuta sotto gli occhi di tutti e nel più vile tra i silenzi, quello che solo l’opportunismo più provinciale è in grado di generare.
Dopo un anno non si è organizzato solo un presidio davanti al carcere ma è stato consegnato un Dossier sulla vicenda (leggi) dove non si accusa nessuno ma si prova ad elencare le dichiarazioni, i documenti depositati dalla procura e le testimonianze raccolte per dire alla città che “questi morti non possono essere archiviati” come se nulla fosse avvenuto.
Risposte che anche i cittadini di Modena, pur vivendo forse nella più assopita provincia della regione, chiedono. Prova le risposte data alle nostre interviste raccolte in piazza Grande durante un presidio sui 9 morti del carcere Sant’Anna di Modena. (leggi)
In realtà, cosa sappiamo di quella terribile giornata? Come hanno vissuto i detenuti che sono stati trasferiti?
Il 7 marzo 2021 le associazioni, le famiglie dei detenuti, la parte degna della città che non dimentica ha chiesto giustizia per i morti e per i vivi. Ha chiesto verità sulla strage.
Il dettagli di quel giorno sono ben riportati nell’articolo di “Senza Quartiere” (leggi) ed è anche possibile seguirlo sul servizio video da noi realizzato (Guarda) e pubblicato sul nostro canale “Alkemiaword“.
Va ricordato che un momento particolare della giornata è stato quando un piccolo gruppo ha depositato una corona di fiori di fronte alla recinzione del carcere. Al suo interno e direttamente schierati lungo tutta la cancellata, agenti in tenuta anti sommossa. Uno schieramento, collocato anche lungo le vie di accesso al carcere, davvero sproporzionato, rispetto alla mobilitazione organizzata per la ricorrenza.
Altro momento di riflessione è stata la trasmissione del contributo vocale (Ascolta) inviato da Moni Ovadia per l’occasione:
“E’ grave quello che è successo nel paese di Cesare Beccaria. Dove sono finiti i valori del rispetto della vita umana espressi nella Costituzione e quanto è pericoloso averli traditi?“ (Guarda)
Ricordare le 9 morti del carcere Sant’Anna di Modena è stato un dovere non solo per la verità e il rispetto della vita umana che mai va sottovalutata e non considerata ma difesa a prescindere da quello che si è commesso. Pena il rischio che “chi Governa o chi è più Potente” possa decidere “chi è degno di poter vivere” e chi invece può essere soppresso senza rispetto, perché ritenuto inutile o pericoloso.
Il comitato “Verità e Giustizia per le Morte del Sant’Anna” conclude, infatti, il Dossier con 12 domande a cui qualcuno si spera dia una risposta. Domande che credo sia giusto qui ricordare a testimonianza anche del nostro impegno per la verità.
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É vero o non è vero che sono stati compiuti pestaggi deliberati ai danni dei detenuti, sia nel piazzale antistante il carcere di Sant’Anna, sia durante il loro trasferimento, sia al loro arrivo negli altri penitenziari sparsi per la penisola, come affermato ormai in diverse testimonianze?
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Perché la direttrice del carcere di Modena, Maria Martone in un’intervista 17 aveva garantito che tutti i detenuti erano stati visitati presso il presidio sanitario allestito nel piazzale prima di essere trasferiti quando tutte le testimonianze raccolte affermano il contrario? Perché la stessa cosa è stata affermata anche dal sottosegretario all’istruzione Giuseppe De Cristoforo (Sinistra Italiana) -“Da quanto emerge dalla relazione del personale sanitario della casa circondariale di Modena i detenuti, prima del trasferimento, sono stati sottoposti a controllo medico da parte del personale sanitario del carcere o dei medici del 118 – mentre, nell’informativa girata il 23 marzo alla presidenza della Camera dall’ex capo del Dap, Francesco Basentini – “Le singole formazioni riuscivano a fiaccare la resistenza aggressiva e violenta dei ribelli, immobilizzare i più facinorosi, condurli all’esterno e a collocarli immediatamente sui mezzi di trasporto preventivamente predisposti” – di visite mediche e di controlli sanitari proprio non si parlava? Allora, se è vero ciò che hanno affermato Maria Martone e Giuseppe De Cristoforo, domandiamo: quante persone componevano il presidio sanitario in quei giorni? Chi ha visitato chi? Con quali esiti documentati?
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E’ dunque vero che i detenuti di Modena non sono stati preventivamente visitati – come d’obbligo – prima di essere trasferiti e se sì, sono stati visitati almeno nelle 20 strutture d’arrivo? Perché, se sono morti tutti per overdose di metadone come affermano le istituzioni, non è stato loro somministrato il naloxone per salvargli la vita, dovrebbe essere un farmaco in dotazione a tutte le ambulanze e in tutte le carceri? Ricordiamo solo che sono 4 i detenuti morti durante o subito dopo il trasferimento: Ghazi Hadidi, Ouarrad Abdellah, Artur Iuzu e Salvatore Cuono Piscitelli.
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Perché il garante dei detenuti delle Marche, Andrea Nobili, commentando la morte di Piscitelli ha dichiarato che “il decesso era stato costatato prima dell’ingresso in istituto, all’esterno” mentre chi aveva viaggiato con lui, a bordo dello stesso pullman da Modena ad Ascoli, testimonia tutt’altro, che all’arrivo nel carcere di Ascoli “lui non riusciva a camminare… Era nella cella 52, nessuno lo ha aiutato”?
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E’ vero che a Modena sono stati esplosi colpi di armi da fuoco all’interno del penitenziario come affermano diverse testimonianze? E se sì, quanti colpi sarebbero stati sparati? In aria a scopo intimidatorio o ad altezza uomo? Non dovrebbe esserci traccia dei proiettili sparati all’interno del penitenziario o tra le carte di rendicontazione del materiale utilizzato dagli agenti?
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Chi era a conoscenza dell’esistenza di un “Gruppo di intervento rapido – Gir” costituito subito dopo le rivolte di marzo che operava a volto coperto all’interno delle carceri – di cui ha rivelato l’esistenza Antonio Fullone, provveditore dell’amministrazione penitenziaria della Campania, nel corso della trasmissione Report? Era un gruppo destinato ad azioni punitive? Il Parlamento ed il Governo era stato informato della sua esistenza? Quali sono le “regole d’ingaggio” di questo corpo speciale? Di quali margini in più gode, rispetto al normale corpo di polizia penitenziaria? Ricordiamo solo che l’Art. 41 delle Norme sull’ordinamento penitenziario (L.26 luglio 1975, n.354) recita questo: “1. Non è consentito l’impiego della forza fisica nei confronti dei detenuti e degli internati se non sia indispensabile per prevenire o impedire atti di violenza, per impedire tentativi di evasione o per vincere la resistenza, anche passiva, all’esecuzione degli ordini impartiti. 2. Il personale che, per qualsiasi motivo, abbia fatto uso della forza fisica nei confronti dei detenuti o degli internati, deve immediatamente riferirne al direttore dell’istituto il quale dispone, senza indugio, accertamenti sanitari e procede alle altre indagini del caso. Non può essere usato alcun mezzo di coercizione fisica che non sia espressamente previsto dal regolamento e, comunque, non vi si può far ricorso a fini disciplinari ma solo al fine di evitare danni a persone o cose o di garantire la incolumità dello stesso soggetto. 4. L’uso deve essere limitato al tempo strettamente necessario e deve essere costantemente controllato dal sanitario. 5. Gli agenti in servizio nell’interno degli istituti non possono portare armi se non nei casi eccezionali in cui ciò venga ordinato dal direttore.”
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Perché i detenuti trasferiti da Modena, in tutte le destinazioni d’arrivo, venivano bollati come “i rivoltosi” e subivano un “trattamento speciale” come l’essere lasciati senza scarpe, senza potersi cambiare i vestiti e senza la possibilità di farsi una doccia per tre mesi, come affermano già numerose testimonianze alcune riprese anche da Report? E tutto ciò, questo tipo di trattamenti, come potrebbero mai essere in linea con l’articolo 27 della Costituzione italiana che tutela la dignità umana e che afferma letteralmente che “le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato.”?
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Perché, ad oggi, tra i detenuti presenti l’8 marzo, sono stati ascoltati soltanto i cinque che hanno presentato un esposto? Perché nel frattempo non sono stati ascoltati dalla Procura anche altri testimoni, tra le decine disponibili, visto che, come dichiarato dal procuratore aggiunto Giuseppe Di Giorgio il 10 marzo, l’intenzione della Procura era di fare immediatamente luce sui decessi? E perché si ha l’impressione che siano arrivate prima le inchieste della stampa, rispetto al lavoro della magistratura?
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Com’è possibile che il giorno stesso della rivolta, ad accompagnare la notizia della morte del primo detenuto, sul sito della testata televisiva locale TRC, si potesse già leggere la causa del decesso: l’overdose? Come si poteva avere questa certezza senza autopsie e nello stato di caos totale in cui versava la struttura? E’ credibile che siano morti tutti e 9 di overdose da metadone, visto che solo la metà di loro erano tossicodipendenti – come afferma un testimone detenuto a Sant’Anna, intervistato da Report?
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Perché anche i detenuti trasferiti dal carcere di Foggia dopo la rivolta hanno denunciato gli stessi soprusi e gli stessi pestaggi dichiarati da quelli trasferiti da Modena? Non si tratta forse di azioni ordinate, organizzate e applicate con tecniche specifiche dato che sono varie le carceri di destinazione nelle quali si sarebbero registrati questo tipo di mal-trattamenti? Perché non ci sono immagini a documentare quanto avvenuto e soprattutto perché, dove queste sono state visionate dalla Procura, si sono poi indagati gli agenti di polizia penitenziaria come avvenuto per il carcere di Santa Maria Capua Vetere?
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Perché il Garante nazionale dei detenuti, Mauro Palma, per seguire da vicino le indagini, ha nominato come medico legale Cristina Cattaneo? Certo, si tratta di una professionista dal curriculum impeccabile ma che è anche la stessa del caso Cucchi, nonché «il medico legale che firmò la prima perizia d’ufficio sul corpo di Stefano, quella in cui non c’era alcuna traccia delle vertebre fratturate di recente».
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E infine, tanto per concludere questi dodici mesi con altrettante domande, proviamo a formulare le più semplici e le più terribili: che razza di inferno era diventata in questi anni la Casa Circondariale di Sant’Anna, per covare al suo interno una simile carica di rabbia e violenza? Quante umiliazioni hanno subito nel tempo, quei detenuti che nel marzo 2020 scelsero di ribellarsi, alcuni in prossimità del fine pena, mettendo a rischio la loro vita e il loro futuro? Possibile che nessuno – i garanti, la magistratura di sorveglianza, gli operatori socio sanitari, le istituzioni locali – proprio nessuno, avesse percepito la drammatica condizione della popolazione carceraria reclusa a Modena? Possibile che tutti abbiano girato lo sguardo dall’altra parte, così come continuano a fare oggi, davanti alle domande inevase di verità e giustizia che giungono dalle carceri italiane?
(Il dossier completo: www.alkemiachannel.com/Dossier_carcere_Sanna_9morti.pdf)