MOBILITARSI CONTRO IL DECRETO SICUREZZA

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La Corte di Cassazione si è dichiarata contro il Decreto Sicurezza, voluto dal governo Meloni con procedura d’urgenza (0), perché illegittimo e incostituzionale. Pare lo sia non solo per le modalità con cui è stato approvato da DDL a legge, ma anche per i contenuti repressivi messi in opera.

Non lo dice un gruppo di facinorosi che amano bloccare strade o verniciare palazzi del potere, a sottoscriverlo è addirittura la Corte di Cassazione che dopo averlo analizzato con solerzia, non lascia scampo al Governo e scrive, come Servizio penale dell’Ufficio del Massimario e del ruolo della Corte Suprema, la relazione 33 pubblicata il 23 giugno 2025(1)

In 129 pagine la Corte di Cassazione, evidenzia tutte le problematicità oggettive contenute nei suoi 38 articoli del provvedimento governativo in vigore dal 12 aprile 2025, della Legge 9 giugno 2025, n. 80, che il Governo ha convertito in Decreto Legge n. 48.

Un parere espresso in quella relazione (detto il Massimario) che, pur non avendo un carattere vincolante, potrebbe costituire una solida base per eventuali ricorsi in Corte Costituzionale.

Come ben riportato da Eleonora Martini in un articolo pubblicato su Il Manifesto il 28 giugno (2), che invito a leggere, la Corte di Cassazione, citando le numerose associazioni di costituzionalisti, professori di diritto penale, magistrati (compresa l’Anm), giuspubblicisti (ad esempio, Articolo 21 – (2.1) e i tanti esperti ascoltati nelle commissioni parlamentari, nonché l’Osce e l’Alto commissario per i diritti umani dell’Onu, specifica due aspetti principali: il metodo di adozione del provvedimento e i suoi contenuti.

La relazione sottolinea la mancanza dei requisiti di necessità e urgenza che, per Costituzione, sono imprescindibili per l’adozione di un decreto legge.

«La prassi parlamentare – scrive nella relazione – annovera due soli precedenti di trasposizione dei contenuti di un progetto di legge in discussione in Parlamento in un decreto-legge, a suo tempo in effetti censurati dalla dottrina costituzionalistica e, in ogni caso, nessuno dei due riguardava la materia penale».

Sottolinea poi che: “… l’estrema disomogeneità dei contenuti, avrebbe richiesto un esame ed un voto separato sulle singole questioni”. E questo è in violazione della Costituzione (art. 72) proprio perché avrebbe dovuto prevedere l’analisi e il voto distinto per ciascun articolo.

Una legge che tocca la libertà di manifestazione e riunione, prevedendo il carcere per chi blocca una strada anche pacificamente.
E’ importante evidenziare in modo chiaro che il decreto legge sembra proprio strutturato in modo tale da mirare a colpire eccessivamente gruppi organizzati e considerati dissidenti o minoranze etniche, migranti e rifugiati. Anche con rischio palese di discriminazioni e violazioni, a norma di legge, dei diritti umani.

Gli esempi più eclatanti sono scritti nel Decreto. A partire dalle aggravanti e agli aumenti o sospensioni condizionali della pena che vengono applicati, solo se il reato viene commesso in un determinato luogo come stazioni o convogli; da una persona considerata differente in base al suo status come l’essere detenuto, o in un determinato contesto come in occasione di manifestazioni considerate un disvalore.

Il che significa considerare un reato la contestazione e l’espressione del dissenso soprattutto quando questo ci si esprime in modo differente, dalle modalità di espressione considerate consone da chi ha l’opportunità di reprime.

Un fiore all’occhiello per Fratelli d’Italia e Lega in lotta tra loro su chi è più bravo ad agire nel tentativo di reprimere, piegando e deformando i principi democratici costituzionali, al volere del Governo. Un potere, secondo loro, libero di agire indipendente e in barba ai principi giuridici costituzionali, perché mandatari dal popolo che li ha eletti.

Associazione Nazionale Giuristi Democratici. Il pericolo delle spinte autoritarie.
Del resto, tale giudizio lo aveva espresso anche l’Associazione Nazionale Giuristi Democratici, durante il Convegno (4) “Legge Sicurezza”: contro le spinte autoritarie, questioni di costituzionalità e tutela dei diritti umani”, presso Università di Padova il 21 giugno 2025.

Il convegno ha proposto una seria riflessione sul DL Sicurezza, oggi Legge Sicurezza, esaminando le potenziali implicazioni dal punto di vista dei profili di legittimità costituzionale, nonché dal punto di vista del profilo penalistico delle nuove norme. Un impegno importante privo di sconti, nei confronti del Governo.

Nelle relazioni è chiaramente emersa “la pericolosità dell’attacco al diritto e la presa di potere di sovranisti, nazionalisti e populisti. Per questo è importante opporsi in maniera concreta nelle aule di tribunale alle norme approvate attraverso le questioni di illegittimità costituzionale. Scardinare l’autoritarismo alla base delle norme della nuova Legge Sicurezza. Problematiche dell’impianto normativo e le ricadute che possono avere sull’intero tessuto democratico.

Un altro elemento di pericolosità di torsioni antidemocratiche, sta proprio nel requisito d’urgenza e all’uso spregiudicato della fiducia al Governo che possono condurre ad evitare il dibattito parlamentare e ad una deriva autoritaria attraverso lo squilibrio tra i poteri dello Stato. Aspetti inquietanti che vedono delineare una forzatura del passaggio da Stato Sociale a Stato Penale.

Le Norme presenti nella Legge Sicurezza
Tanto pubblicizzate ed esaltate, nella sua legittimità politica da Salvini o Piantedosi, di fatto agiscono come deterrente e quindi limitative della libertà di riunione con un effetto intimidatorio sull’intera azione sociale. Interrompendo, di fatto, il “nesso politico tra esercizio della libertà di riunione e la sovranità popolare”.

L’imbrattamento dei muri da pura espressione del pensiero, diventa comportamento che può portare in carcere come per reati ben più gravi, in contraddizione con il principio della congruità della pena. Oppure, l’uso di norme che trasformano in reati, condotte nell’esercizio del diritto riconosciuto di sciopero, lede tale diritto o ne limita fortemente l’agire.

Per i blocchi stradali, come nel caso dei COBAS alla Maersk, o in altre azioni legate a rivendicazioni di diritti contrattuali nella logistica, esiste già una giurisprudenza favorevole al diritto di esercizio dello sciopero, evidenziata anche con sentenze di assoluzione e che renderebbero credo nulli i procedimenti oggi avanzati anche in calce o in conseguenza, all’applicazione della Legge sulla Sicurezza.

Per non parlare poi dell’eccessiva tutela delle Forze dell’ordine, che ne crea una chiara disparità e superamento dei principi di eguaglianza.

Esempio sta nella questione delle body cam della Polizia che, non esprimendo una chiara normativa sulla loro attivazione, sommata alla non accessibilità delle registrazioni nella loro completezza, mettono in dubbio il valore stesso di tale strumento.

Cioè, potrebbero consentire un possibile inquinamento, non solo dei procedimenti con una narrativa puramente accusatoria ma anche un auto-assolvimento, nel caso di esplicite violazioni e abusi di potere, dalle forze dell’ordine.

Non è uno vezzo giuridico, ma bastano due giorni di prognosi per un Carabiniere certificate al Pronto Soccorso, ammesso e non concesso che siano veri, per far rischiare sino a due anni di carcere un imputato.

Il tema della criminalizzazione delle proteste nei CPR, ad esempio, evidenzia un altro aspetto inquietante. Questo si evidenzia nel tentativo costante di esternalizzare il servizio di accoglienza, fino all’invisibilità, a soggetti umani specifici per segregarli in luoghi sempre più lontani dalla nostra presa di coscienza.

Anche nel caso dell’esercizio di una qualsiasi forma di resistenza passiva e/o non violenta applicata per ora alle proteste nelle carceri e ai migranti nei CPR possono rappresentare un problema serio. Se lasciamo liberamente applicare per loro queste norme, rischiamo di poter vedere estesi tali principi, anche ad altre situazioni di resistenza passiva, più volte sperimentate soprattutto dalle nuove generazioni.

Come contrastare allora, tale limitazione dei principi democratici?
Credo sia necessario, oltre alle mobilitazioni, definire anche azioni mirate, la questione sicurezza. Agire soprattutto sul piano culturale in modo che sia chiaro la distinzione tra sicurezza sociale e sicurezza personale. Ma soprattutto, rilanciare il valore intrinseco che collega le medesime richieste di sicurezza. Solo in questo modo sarà possibile contrastare le misure securitarie atte a rassicurare in maniera simbolica l’opinione pubblica.

Ovvero, è necessario agire distinguendo i due fattori scatenanti la percezione di assenza di sicurezza e denunciare lo stretto rapporto interconnesso tra sicurezza personale indotta e di riflesso percepita, come il pericolo della violenza incontrollata sociale a tutti i livelli e senza distinzione d’età e quella riferita alla sicurezza sociale, come la difesa dell’occupazione, il diritto all’alloggio, all’assistenza medica etc. che va contrastata con azioni concrete e politiche.

Per attuare questo con efficacia, è però necessario che anche sul piano giuridico, riaffermare l’uso del diritto penale come arma estrema e non come supplenza ad un generico concetto di legalità usato per altri fini.

Un principio che è totalmente assente nel DNA delle forze politiche attualmente al Governo e che vede come unica soluzione, come ben specificato anche dalla Corte di Cassazione, l’aumento dei processi e del numero di persone incarcerate.