Pace fatta. Cessati i bombardamenti tra Hamas e Israele inizia la tregua. L’ennesima tregua infinita che, come sempre, lascia una scia di sangue e di dolore che nessuna ricostruzione o risarcimento riuscirà mai a consolare. Ora che hanno finito di tuonare i cannoni, anche l’occidente può tirare un sospiro di sollievo. Può tornare a non vedere e a non affrontare con determinazione e risolutezza, la violenza e la sopraffazione colonialista verso un popolo a cui indiscriminatamente viene imposto un regime di apartheid di antica fattura.
Ancora una volta le democrazie occidentali possono esimersi dal pensare ed essere consapevoli che quel vuoto mortale di donne e bambini, fratelli e sorelle, padri e madri, di generazioni soppresse con la violenza, non può escludere la nascita di altro odio e sete di vendetta.
Del resto abbiamo assistito, anche tra i nostri politici “in cerca d’autore”, alla sceneggiata orchestrata al ghetto ebraico in difesa d’Israele, simbolo eloquente di una classe politica, persa nel suo ruolo fantasma, che sceglie di essere “quelle che volete che io sia” al fianco di Draghi.
Una rappresentanza filo israeliana che ha visto tra le sue file organizzazioni con principi e militanti antisemiti, che avrebbero fatto tremare i muri di quelle case e infiammare i numerici indelebili tatuati sul braccio dei sopravvissuti all’olocausto.
Ora tutti sono più tranquilli e non importa ciò che è avvenuto e perché è avvenuto. Non importa se, a differenze delle purtroppo altre volte, la rivolta di questi giorni, non è stata tra Hamas ed Israele come voglio farci credere ma tra un popolo che tutto insieme ha detto “basta”. Perchè lo scontro, è bene dirlo, non è in realtà tra Hamas e Israele ma, tra la richiesta del rispetto dei diritti dei Palestinesi e il dominio coloniale e razzista del Governo d’Israele. Anche molti democratici israeliani l’hanno capito e si stanno schierando al fianco dei Palestinesi e contro gli integralismi ebraici ed islamici.
E’ facile nasconderlo, del resto i nostri media sono stati perfettamente all’altezza del loro ruolo. Basta negare la riuscita del più grande sciopero generale (1) attuato in tutti i territori occupati; le rivolte dei singoli cittadini compreso quelli ben inseriti nel territori controllati da Israele; la motivazione del divieto di effettuare le elezioni a Gerusalemme; la caccia all’uomo attuata dagli israeliani non senza risposta, a Lod, Ramallha e in tutta la Cisgiordania. Azioni eseguite con la classica arroganza dei dominatori che però continua a sottovalutare la resilienza infinita del popolo palestinese.
I dati di questi undici giorni di guerra nel cuore pulsante del Medio Oriente potrebbero essere riassunti con 230 palestinesi morti, 65 bambini, 39 donne e 17 anziani. 1.710 i feriti. 12 i decessi registrati da Israele che parla anche di centinaia di feriti. Potremmo anche aggiungere 1.550 gli arabi arrestati dalla polizia israeliana nelle ultime due settimane per gli scontri di piazza. Ma in realtà c’è molto di più.
La continua violazione del Diritto Internazionale
La strategia di bombardare i luoghi dove i civili vivono con la motivazione che tra loro si nasconderebbero i terroristi, raggiunge la sua massima accettazione dalla comunità internazionale nel 1999 durante i 78 giorni di bombardamento continuo della NATO su Belgrado (2).
Quel bombardamento, dava il via definitivo alla stagione mai conclusa del militarismo umanitario che avrebbe poi consentito senza remore o limitazioni, omicidi preventivi di cui l’artefice Obama ne ha fatto ampio uso (3), il bombardamento di nazioni senza neanche dichiarargli guerra, come Israele in Siria (4) ed azioni di terrorismo destabilizzatore come l’ISIS finanziato da USA e Stati Arabi del Golfo (5).
La questione del potere Mass Mediatico
Da anni Israele ha fatto della propaganda il suo punto cardine. Paradossalmente ha costruito un controllo feroce su tutto quello che “si dice” fuori dai confini di quella terra. E devo dire che giornalisti, scrittori ed intellettuali a busta paga ne ha coinvolti parecchi. Basti pensare all’accuratezza con cui si scelgono i termini, i nomi e i racconti per giustificare le azioni. Tutto chiaro e raccolto in un importante lavoro svolto nel 2017 da Amedeo Rossi in “Il Muro della Hasbara” della Zambon editore (6).
Un fenomeno che si perpetua anche in quest’occasione. Un esempio è definire, come ha fatto il TG de LA7 di Mentana, “bambini” le vittime israeliane e “minorenni” i bambini palestinesi. Questo è solo un piccolo esempio e per questo il nostro primo grido dovrebbe essere innanzitutto rivolto per rivendicare il diritto di essere informati realmente su quello che accade, non solo oggi ma da anni in quella terra. Non è più tollerabile che i media attuino una disinformazione controllata e precisa che diffonde le rivendicazioni del popolo palestinese solo ed esclusivamente come un azione terroristica.
Per questo, bene hanno fatto i militanti di “Potere al Popolo” ad occupare simbolicamente come atto di protesta, la sede dell’Ordine dei Giornalisti di Roma (7) per chiedere “La Verità’ e il rispetto della Costituzione ad essere informati. Uguale per i “Giovani Palestinesi d’Italia” che hanno organizzato un sit-in di protesta davanti alla RAI per consegnare un appello “Contro la disinformazione sui fatti in Palestina” (8) e ricordare ai suoi giornalisti, che il servizio pubblico radiotelevisivo nazionale, deve raccontare cosa sta accadendo in questi giorni.
Questo grave silenzio dei media, ha indirettamente concesso il 15 maggio, alle truppe militari israeliane di poter distruggere, bombardandolo, il palazzo Al-Jala che ospitava gli uffici della redazione di Al Jazeera e di altre emittenti internazionali tra cui Associated Press. (9)
Un azione coperta con la motivazione che “li dentro si nascondevano i terroristi di Hamas” ma che in realtà aveva un preciso obiettivo: negare il diritto alla pluralità delle fonti di informazione, avvisare i giornalisti che non sarebbero stati tollerati ingerenze nelle loro operazioni e che soprattutto non avrebbero fatto distinzione o preferenze nei loro confronti durante il loro attacco. Soprattutto se possibili testimoni di quanto poteva accadere se avessero deciso di proseguire con un offensiva di terra, più volte minacciata.
Ancora una volta il governo di Netanyahu, con questa azione, dava continuità ad una politica di esclusione obbligata dei giornalisti da Gaza.La stessa politica attuata in occasione dell’operazione “Piombo fuso”, dove la guerra è stata raccontata in modo parziale, tranne per Vittorio Arrigoni rimasto sul posto, dai giornalisti e dai media occidentali “costretti a seguire il conflitto da una collina” difronte a Gaza City. Il tutto accuratamente raccontato dal documentario “Unseen Gaza” (Gaza mai vista), trasmesso dal canale britannico Channel 4 (10).
La questione coloniale e il regime di apartheid
Quando a morire sono giovanissimi, donne e bambini e la violenza si esprime non solo con i razzi provenienti da Gaza e il suo bombardamento ma, anche con linciaggi nelle strade o azioni reciproche di guerriglia da Lod a Rammallha, non basta la parola GUERRA per riassumere quello che sta realmente avvenendo. Ovvero, quello che è avvenuto e continua da tempo ad avvenire in Palestina, in realtà rappresenta la ribellione spontanea nazionale di un popolo esacerbato dall’oppressione coloniale d’Israele. Ed è per questo che è sempre più necessario dire che “non può esistere Pace senza Giustizia”.
L’ultimo rapporto Human Rights Watch, la più grande ONG in materia di protezione dei diritti umani, parla di “Stato di apartheid nei Territori Occupati Palestinesi” e che questi sono considerati “illegali anche secondo la Risoluzione Onu 242 del 1967”. Specificando inoltre anche che: “Il crimine di apartheid rientra tra i crimini contro l’umanità all’art.7 comma D dello statuto della Corte Penale” (11)
I missili di Hamas non sono certo la soluzione ma, un popolo oppresso, come deve interpretare l’esaltazione a livello mondiale della bravura d’Israele nell’aver vaccinato la sua popolazione e al tempo stesso il non poter accedere liberamente ai vaccini o cure mediche contro la pandemia da covid19? Come deve interpretare l’uso anche del covid19 come strumento di repressione contro il suo popolo?
Hamas e Israele, specchio di una medesima realtà?
Resta impossibile non considerare, in questo nuovo conflitto armato, “due facce della stessa medaglia”, le due fazioni maggiormente esposte sul piano militare. Da una parte Israele che non riesce a darsi un governo stabile schiacciato tra partiti estremisti ed integralisti ebraici che fanno a gara a dimostrare di essere “più cattivi” con i palestinesi per raccogliere voti dalla parte più violenta e razzista del paese. E un premier, Netanyahu, che con questa guerra e una campagna attiva di espulsione dei palestinesi, cerca di fuggire dai suoi processi per corruzione. Dall’altra Hamas, che perde sempre più credibilità nella gestione dei suoi territori e che ha la necessità, non senza indiretta complicità dell’autorità palestinese, di rimanere al potere grazie alla sua capacità di rispondere militarmente agli attacchi per difendere il suo popolo.
Hamas ha commesso molti errori nella gestione dei conflitti con Israele ma, la critica non può basarsi solo ed esclusivamente sulla questione islamica. Grave se fosse così.
Da sempre ritengo che la Democrazia e la libertà non possa essere condizionata da nessuna ideologia religiosa ma, non possiamo esimerci dal valutare negativamente anche la laicità occidentale che ha come dominatore il concetto capitalista di “libero mercato, profitto, sfruttamento e consumo”. E la dove questo non avviene, bombarda. Di fatto poi, anche in quelle terre, nei territori controllati dall’Autorità Nazionale Palestinese i palestinesi non sono più fortunati degli abitanti di Gaza. Paradossalmente l’ANP e la dirigenza di Fatah forse sono molto più responsabili delle sofferenze dei palestinesi in tutta la Palestina di quanto non lo sia Hamas per la popolazione di Gaza.
La voce dei palestinesi di quelle terre è offuscata perchè e considerata solo quando reagisce. Dimenticata anche dall’occidente e stata rinchiusa nella sua riserva. Del resto gli occhi dell’occidente, che ha deciso di combattere Hamas solo ed esclusivamente sul piano islamofobo, nega il medesimo atteggiamento nei confronti della teocrazia israeliana, basata sul fondamentalismo dei sionisti bianchi.
La realtà è che l’occidente non ha il coraggio di ammettere che il non ritenere l’estremismo israeliano un estremismo religioso ma politico, nasconde la radice razzista dell’occidente che considera Israele un gradino più alto di civiltà. Contribuendo così a rendere ancora più difficoltosa la costruzione della pace duratura in quei territori perché giocata e considerata non un scontro tra dominatori e dominati ma tra due differenti terreni antropologici.
Lo sceicco Yassin, fondatore di Hamas, cieco e paraplegico, venne assassinato dalla potenza ancora occupante Gaza nel marzo 2004. Aziz El Rantisi, suo sostituto, venne trucidato un mese dopo, sempre dalla medesima mano. Poi nel 2006 Hamas ha vinto le libere elezioni ma poiché il risultato rimetteva in discussione l’equilibrio che Israele aveva deciso in quei territori dopo averli abbandonati, gli fu impedito di governare se non ricorrendo all’uso delle armi.
Ora Hamas rappresenta per il popolo l’unica barriera difensiva ai loro soprusi. E’ l’unica forza in campo che è intervenuta militarmente in soccorso degli espulsi di Gerusalemme est e questo a innalzato il valore nazionalista del popolo palestinese da tempo in parte assopito. Soprattutto nei territori occupati. E questo non è certo colpa del popolo e crea inesorabilmente consenso. Soprattutto tra i parenti delle vittime dei bombardamenti.
Per non parlare poi negli anni a seguire, dei responsabili di organizzazioni pacifiste eliminati con omicidi mirati dal Mossad israeliano ma anche da gruppi salafiti, a Gaza come nei territori occupati. Eliminati proprio perché provavano ad organizzare una via alternativa a oltre 70 anni di conflitto, che aveva portato solo morte e nessuna soluzione sostenibile da entrambe le parti.
Una difficoltà che si perpetua tutt’oggi e lo dimostra non solo la situazione nei territori occupati, soprattutto riguardo alla convivenza che rimane assai grave ma anche le dichiarazioni ad esempio del sindaco di Sderot, Alon Dvidi:
“Il cessate il fuoco concordato tra Israele e le organizzazioni terroristiche a Gaza mediato dall’Egitto – senza condizioni – dimostra che nonostante il sostegno, la pazienza e l’eroismo che la gente del sud ha mostrato da oltre 20 anni, il primo ministro Benjamin Netanyahu e il governo non vuole davvero sconfiggere Hamas, preferiscono la pace temporanea per i residenti del centro a spese dei residenti della Striscia di Gaza e del sud che continueranno a soffrire dal terrore ”.
In un correlato contesto, anche Gilad Sharon ha messo in dubbio, in un articolo, l’immagine della vittoria sbandierata da Netanyahu, affermando che:
“Non stiamo combattendo un terrorista, un’organizzazione nascosta tra la popolazione civile, stiamo combattendo uno stato nemico violento e ostile. La differenza è grande. Nella guerra contro un’organizzazione terroristica devi operare chirurgicamente altrimenti è impossibile sconfiggere il nemico in questo modo – ha proseguito affermando poi che – Dobbiamo mettere due milioni di palestinesi in una situazione impossibile e in breve, possiamo ottenere una vittoria rapida e chiara. Durante la guerra contro un paese ostile, la pressione deve essere creata in tutte le direzioni, anche con danno a tutto ciò che consente la vita: acqua, elettricità, carburante, cibo, tutto”.
A Gaza, bisogna ricordarlo, vive una parte importante di popolazione cacciata nel 1948’ dalla sua terra e dal momento che non sono ebrei, quando hanno tentato di tornare a casa, sono stati uccisi senza pietà. Come hanno fatto i soldati appostati su quel muro a sparare, durante i venerdì di protesta, sulla popolazione disarmata che per rivendicare il loro diritto alla sopravvivenza si avvicinavano alla recinzione perimetrale che racchiude il ghetto Gaza.(12)
Entrambi i contendenti allora hanno bisogno l’uno dell’altro? Mai come oggi, e forse entrambi riescono a rivendicare la propria esistenza, grazie alla reciproca esistenza. Ma le conseguenze politiche di questo ultimo scontro e le mobilitazioni che né sono seguite e né seguiranno, dentro e fuori Gaza, forse possono imprimere una nuova alternativa all’equilibrio conflittuale gestito da entrambe le parti.
Abu Mazen e i limiti dell’autonomia palestinese
In questo scenario di conflitto un altra evidente realtà è ormai palese: la tanto sbandierata autonomia palestinese e la sovranità amministrativa lasciata alla ANP, dei territori occupati è in realtà una concessione controllata israeliana. Tipica dei paesi coloniali che lasciano libertà di movimento ai dominati, a patto che non si disturbi il dominante.
Potremmo elencare molti episodi discutibili sul comportamento dell’ANP nei confronti d’Israele e sulla campagna politica condotta dal suo massimo esponente, Abu Mazen, incentrata più a difendere il suo popolo sul piano diplomatico e fuori dai suoi delimitati confini, che tutelarli fisicamente dalle aggressioni israeliane e dei coloni.
Una strategia e un ruolo che ha portato certamente, sulla carta, al riconoscimento dello Stato di Palestina come membro invitato alle Nazioni Unite, ma che in realtà, non ha spostato per nulla l’azione repressiva esercitata da Israele verso i palestinesi.
Un lavoro diplomatico a cui forse è stato costretto a relegarsi per non apparire ed essere considerato, dalle diplomazie occidentali, il rappresentante di un popolo “terrorista” come è definito Gaza il governo di Hamas.
Peccato però che ormai, questa strategia ha perso tutti gli spazi di discussione e di riconoscimento politico e quando questo avviene, è utilizzata dagli avversari come strumento di divisione dei palestinesi.
Basti pensare alle ultime elezioni indette dall’ANP nei territori occupati e che subito il Governo israeliano ha pensato bene di negare, con futili motivi, a tutti i palestinesi di Gerusalemme Est. I motivi reali sono ben evidenti. E’ la volontà politica d’Israele di:
- Alzare il livello di repressione nei confronti degli arabi israeliani presenti a Gerusalemme Est in modo di accelerare la loro cacciata
- Delegittimare il governo palestinese dell’ANP difronte al suo popolo, soprattutto dopo la decisione di non effettuarle con quelle “regole” imposte.
- Favorire la vittoria di Hamas, in modo da poter giustificare la reazione militare e repressiva, contro tutto il popolo che ha scelto “quella organizzazione terrorista”, completando così la costruzione del “nemico perfetto” da usare come giustificativo delle loro nefandezze.
In questa situazione, è certo necessario che al più presto si riesca:
- A trovare un accordo di “Unità Nazionale”, tra tutte le organizzazioni palestinesi, compreso e soprattutto con il reattivo Fronte Popolare, per riuscire ad organizzare una giusta reazione anche fisica alla sempre più violenta repressione in atto.
- Nominare un portavoce autorevole che non può essere ne Abu Mazen, nè uno dei membri dell’attuale gruppo dirigente dell’ANP.
I politici di tutte le fazioni palestinesi oggi più che mai, hanno un alta responsabilità. In gioco c’è la stabilità politica e unitaria del popolo palestinese ed è molto alto il rischio che la reazione popolare, alla repressione israeliana ,si trasformi in ribellione, saccheggio e violenza senza guida e progetto politico. Il che significherebbe, la sconfitta definitiva del progetto di una Palestina libera.
La questione Gerusalemme un intreccio di religione e potere
L’accordo siglato con il presidente Trump sul diritto di sovranità israeliana su Gerusalemme come capitale unificata ed eterna d’Israele, sancisce in modo evidente, non solo una palese violazione del diritto internazionale del popolo palestinese di poter vivere in pace in quelle terre, ma anche il mancato rispetto delle tre religioni monoteiste che proprio in quelle terre vedono fondanti le loro teologie religiose.
Il dominare politicamente la città di Gerusalemme, non solo permette ad Israele di rafforzare il suo dominio su quella città, completata con l’espulsione dalle abitazioni dei cittadini palestinesi, ma anche di riuscire ad imporre a livello mondiale che in quel luogo sacro, si trova in terra ebraica e che quella religione è e resterà la dominante.
Un progetto che anche i politici occidentali continuano a non voler contrastare ma al contrario, amano definire Israele la “migliore democrazia di quell’area”. Tacendo colpevolmente anche quando la Knesset modifica la costituzione sancendo e trasformando così quel paese, in un paese teologico dove un governo teocratico, non lascia spazio a chi non è di religione ebraica.
Esemplificazione di questo è anche la formazione dell’attuale Parlamento, dove un partito sionista di estrema destra “Otzma” legittima i suoi gruppi fanatici a compiere atti di odio, mentre il governo israeliano resta in silenzio di fronte a queste violenze.
Il ruolo USA e Egitto nella vicenda
Con l’elezione di Biden almeno l’apparenza aggressiva di Trump è passata in secondo piano anche se la maggioranza israeliana americana, come già esposto in un altro mio scritto, ha avuto un ruolo determinate nella sua elezione. (13)
Un apparente politica di distensione che se da una parte deve dimostrare internazionalmente un differente approccio al problema Medio Orientale, dall’altro non può neanche deludere le aspettative di quella lobbie sionista che lo ha sostenuto. E allora ecco entrare in gioco i Paesi del Golfo e il più fedele dei sui alleati: il governo egiziano del Generale Abdel Fattah al-Sisi che qualche problema di contenimento dei Fratelli Mussulmani, a Gaza rappresentati da Hamas, nel Sinai e lungo i suoi confini continua ad averne.
Una mediazione per il cessate il fuoco (14) che non solo permetterà al Generale di poter entrare a Gaza, con la scusa della ricostruzione, con tutti i suoi servizi segreti, ma anche poter proporsi ed arricchirsi, insieme alle aziende israeliane, per la ricostruzione di Gaza.
Infatti il governo americano ha messo già a disposizione 5,5 milioni di dollari dei 75 che vuole concedere all’autorità palestinese per la ricostruzione di Gaza.(15) mentre per Gaza l’UNRWA ha dichiarato che servono subito 38 milioni di dollari (16).
Anche Amira Hass, su Haaretz, quotidiano d’Israele, ha scritto che (17)
“I danni materiali diretti alle infrastrutture e agli edifici della Striscia di Gaza, alla data del 19 maggio, sono stimati in circa 250 milioni di dollari. Di questa cifra, fornita dal capo dell’ufficio informazioni di Hamas, Salameh Maaruf, circa 92 milioni di dollari si riferiscono a danni procurati a edifici residenziali e a uffici di varie organizzazioni non governative della Striscia”.
Quale cessate il fuoco se si rastrella nei territori?
Ma lo scontro è davvero finito? Oppure molto semplicemente ancora una volta cessati i bombardamenti ricomincia la repressione con gli occhi chiusi dell’occidente?
Non è infatti un segreto, per chi vuol vedere, che l’esercito israeliano, esattamente il giorno dopo ha sparato a un giovane palestinese nel quartiere di Seikh Jarrah proprio durante un ingente campagna di arresti di massa nei confronti del popolo palestinese, come ritorsione alla loro ribellione. Soprattutto nella città di Lod.
La polizia israeliana insieme a migliaia di uomini della sicurezza di tutte le unità e brigate, comprese le guardie di frontiera e le brigate di riserva, sono stati reclutati per svolgere questa operazione nei villaggi e città.
Un atto di vendetta che non riuscirà a fermare la continua rivolta popolare, perché qualcosa tra quelle città è cambiato e anche se l’obiettivo e quello di arrestare 1500 giovani palestinesi, la priorità di continuare le manifestazioni popolari all’interno dei territori palestinesi, sta prendendo il sopravvento.
Quale pace allora in quelle terre?
Non sarà certo una tregua falsa ed infinita a cancellare quello che è avvenuto in questi ultimi giorni, in quella terra martoriata. Tutto non tornerà come prima, perché troppo si è fatto, con il nostro silenzio, contro quel popolo. Oggi la resistenza palestinese, dentro e fuori i confini palestinesi, ha un nuovo inizio.
Come ben evidenziato anche da Ahmed Abu Artema, scrittore che vive a Gaza e ricercatore al Center for Political and Development Studies, con un articolo pubblicato su Contropiano dove afferma che:
“Quando Gerusalemme ha chiesto l’aiuto di Gaza, e Gaza si è alzata per difendere Gerusalemme, questo ha amplificato il senso di crescente unità nazionale palestinese e liberato Gaza dal suo isolamento…in Palestina, i palestinesi combattono contro l’occupazione, i cui attacchi e violazioni li colpiscono dappertutto. Questa escalation è stata caratterizzata anche da un crescente spirito ribelle all’interno delle fazioni della resistenza….La gente di tutta la Palestina aveva disperatamente bisogno di qualcuno che la facesse sentire sostenuta e difesa. I palestinesi hanno bisogno di sentire che non stanno pagando il prezzo da soli. E’ quindi estremamente significativo che la resistenza sia esplosa in tutta la Palestina storica”.(18)
Se vogliamo che davvero non ricomincino i lanci di razzi “da e per” Gaza, è ora che parlino veramente le diplomazie occidentali ed entrino nel merito del rispetto dei diritti di un popolo sottoposto a regime di apartheid e la smettano di sostenere, senza fondamento, la questione “Due popoli, Due stati” perché non è più attuabile ed è anche portatrice di possibili risvolti inquietanti.
Innanzitutto perché questa soluzione, fallita immediatamente dopo l’uccisione di Rabin il 4 novembre 1995, rischia di aprire la discussione partendo dal congelamento dell’attuale situazione. Il che significa, regalare ad Israele di fatto, la maggior parte dei territori della Palestina. E poi perché, quella decisione, non può essere indotta dal nostro volere ma dev’essere una libera scelta dei popoli che hanno entrambi origine in quella terra.
Il nostro compito, anche come cittadini democratici e politici dei paesi occidentalizzati, dev’essere quello di mobilitarci affinché sia ristabilito il diritto del popolo palestinese a vivere liberamente, fuori dal regime di apartheid e non sotto occupazione.
Anche per chi ha a cuore il futuro d’Israele, è giunta l’ora di comprendere che è quanto mai necessaria un azione di mediazione per la Pace che non potrà essere intrapresa senza alcune condizioni fondamentali. Innanzitutto:
- L’interruzione delle espropriazioni e demolizioni delle case a Gerusalemme Est e in tutta la Cisgiordania;
- La rimozione di tutti gli ostacoli che impediscono le elezioni libere e regolari in Cisgiordania, Gerusalemme Est e nella Striscia di Gaza, da svolgersi alla presenza di osservatori internazionali neutrali.
- La sospensione della proliferazione delle colonie israeliane nei territori palestinesi.
- Il riconoscimento dello Stato di Palestina come membro a pieno titolo delle Nazioni Unite, per permettere anche così ai due Stati, di poter negoziare direttamente in condizioni di pari autorevolezza, legittimità e piena sovranità.
Per ottenere tutto questo, è necessario che anche le istituzioni nazionali si esprimano e agiscano, affinché il rispetto del diritto internazionale sia riportato in quelle terre.
Non lo sostengono solo i simpatizzanti democratici e filo palestinesi ma, lo stanno urlando tutti quei giovani palestinesi e non solo, che da giorni hanno sfilato nelle piazze. Una nuova gioventù palestinese e israeliana, che ha reso vivo e reali i cortei con testimonianze dirette e urlato rivendicazioni nel rispetto anche delle religioni e dei suoi simboli. Ma soprattutto una nuova generazione che ha riconosciuto e compreso, la posizione palestinese. Un appoggio alle loro rivendicazioni sostenute anche da un organizzazione transnazionale di giovani ebrei italiani “NotInOurNames” attivi ed uniti con altri attivisti, in Israele e Palestina.(19)
Nei loro comunicati affermano chiaramente che questa “è una rivolta contro il piano di annessione dei territori della Cisgiordania da parte del governo israeliano; agli sfratti a Sheikh Jarrah e la conseguente repressione della polizia e agli ultimi episodi repressivi sulla Spianata delle Moschee, non che i bombardamento su Gaza”.
Anche loro denunciano le posizioni unilaterali e acritiche degli organi comunitari ebraici italiani; gli eventi organizzati dalle comunità ebraiche con personaggi di estrema destra e razzisti e la narrazione mediatica degli eventi in Medio Oriente che non tiene conto di una dinamica tra oppressi e oppressori.
Qualcosa è possibile fare e lo dimostrano i lavoratori dei porti di Genova (20), Ravenna, Livorno (21) e Napoli che si sono rifiutati di caricare le armi destinate in Israele e in luoghi di guerra. (22)
Lo reclamano tutti quei militanti BDS che da anni sostengono il boicottaggio d’Israele, come chiesto anche dai palestinesi e come attuato in passato per liberare il Sud Africa di Nelson Mandela, per sconfiggere la segregazioni in atto nei confronti del popolo palestinese. (23)
Due esempi di apartheid che si prefiggono il medesimo obiettivo che resta lo sconfiggere il dominio repressivo di un popolo su un altro popolo.
In Africa la segregazione era attuata su basi “Razziali e Schiavitù” mentre in Palestina si esprime su base “Etnico Religioso” con la finalità di procedere all’espulsione di un popolo dalla propria terra. Etnico perché considerano i palestinesi “non semiti” e religioso perchè non sono di religione ebraica. E ha un solo nome Sionismo.
Solo in questo modo, ovvero attraverso l’interruzione dei rapporti commerciali e culturali attualmente in atto tra Israele e il nostro Pese, sarà possibile dare un contributo attivo alla costruzione del riconoscimento dei diritti e della pace.
4 – https://www.ilpost.it/2021/01/13/attacco-aereo-israele-siria-iran/
6 – https://nena-news.it/opinione-il-randello-della-democrazia/
8 – https://transform-italia.it/contro-la-disinformazione-sui-fatti-in-palestina/
10 – https://www.affaritaliani.it/politica/gaza-conflitto-reportage-Israele260109.html?refresh_ce
11 – https://mondoweiss.net/2021/05/the-fall-and-rise-and-fall-of-apartheid/
12 – https://www.ilpost.it/2018/05/05/proteste-striscia-gaza/
13 – http://alkemianews.it/index.php/2020/12/28/governo-usa-e-europa-di-domani-1p/
14 – https://www.ilsole24ore.com/art/a-gaza-tregua-regge-la-revoca-misure-d-emergenza-AEzkHvK
17 – https://www.internazionale.it/opinione/amira-hass/2021/05/26/gaza-distruzione
18 – https://contropiano.org/news/internazionale-news/2021/05/18/palestina-questa-volta-e-diverso-0139061
19 – https://ilmanifesto.it/not-in-our-names-la-lettera-dei-giovani-ebrei-italiani/