Ormai è chiaro che due referendum contro l’Autonomia Differenziata, si stanno contendendo la scena e l’azione politica dell’opposizione alla legge 86/2024.
Il vortice politico trasversale, innestato dalla sua approvazione in Parlamento, ha evidenziato non solo la confusione della stampa nazionale, ma anche la furbizia di forze politiche che in nome dell’opposizione a questa legge “spacca Italia”, stanno giocando la partita su piani differenti.
Questo percorso e questa strategia era già evidente, ancor prima della nascita del Comitato della Regione Emilia-Romagna per il ritiro di ogni autonomia differenziata. Confermata poi con la chiusura e mancata volontà, da parte della maggioranza del Governo Regionale, di discutere la Petizione e a seguire la Legge d’Iniziativa Popolare (LIP) che chiedeva a nome di 6000 cittadini, il ritiro delle pre-intese(0).
Ovvero il ritiro di quegli accordi firmati dall’Emilia Romagna nel 2018 con la Regione Veneto e Lombardia, volti alla costruzione dell’attuale forma di Autonomia Differenziata. Un progetto sostenuto dal presidente Bonaccini Stefano e votato dal Consiglio Regionale dell’Emilia Romagna.
La stessa maggioranza che oggi si schiera “a petto nudo” in difesa dell’Unità Nazionale e contro l’attuale disegno di legge, scordandosi però, ancora oggi, di discutere la LIP emiliano romagnola che avrebbe contribuito ad evitare la sua approvazione per decreto..
Il nodo Emilia Romagna e il doppio quesito referendario
Il teatrino delle ombre si materializza con la seduta del consiglio regionale Emilia Romagna del 9 luglio anticipato solo di poche ore, dalla medesima votazione e per il medesimo obiettivo dal Consiglio regionale della Campania (1) dove vengono presentati e votati due quesiti referendari, assai diversi tra loro.
Agire ora e subito contro la legge Calderoli proponendo un quesito referendario abrogativo, è il fulmine che ha folgorato la classe politica d’opposizione lungo la via che all’indipendentismo e poi al presidenzialismo, in questo paese.
Ovvero dare il via ad un azione di democrazia diretta, come il referendum, che permetta “a furor di popolo” di decretare l’opposizione o l’approvazione a una legge ritenuta ingiusta dai richiedenti.
Esistono due modi per riuscire a votare il referendum questa primavera:
- Raccogliere almeno 550.000 firme entro il 12-13 settembre
- Chiedere il referendum attraverso l’approvazione di un medesimo quesito, votato da almeno 5 consigli regionali d’Italia. Nello specifico: Emilia Romagna, Toscana, Campania, Puglia e Sardegna.
In realtà esisteva anche la possibilità, per anche un solo consiglio regionale, di opporsi presentando un ricorso alla Corte Costituzionale. Un opzione incomprensibilmente non intrapresa e che, come per i tanti misteri di questo paese, ci induce a pensare che esista già un accordo tra le 5 regioni per agire in altro modo e con altre finalità. Un dubbio, a mio avviso poi confermato dalle ultime approvazioni avvenute nel Consiglio Regionale Emilia Romagna e soprattutto anticipate da quello della Campania.
E’ infatti, proprio in questo contesto e dato i precedenti, che l’elefante PD e Centro Sinistra, partorisce il topolino che spariglia il branco. Un agire politico che proprio in quel Consiglio Regionale dell’Emilia Romagna, con una seduta durata sino ad oltre le prime luci dell’alba, ha trovato la sua massima espressione.
Dall’occupazione della Presidenza del Consiglio con uno striscione leghista, alla difesa negazionista della maggioranza in risposta agli interventi dei consiglieri leghisti che li accusavano di aver appoggiato, sin dall’inizio, il progetto di Autonomia Differenziata. Una negazione non motivata, che ha avuto solo l’intento di ridurre la denuncia dei leghisti, in merito anche alla comune approvazione delle delibere e ordini del giorno presentati da entrambi i gruppi politici e poi uniti in unici documenti(1.1).
Per non parlare poi della gestione dei lavori Consiliari organizzati al limite del regolamento e in modo tale da ridurre al minimo la discussione e la comprensione degli argomenti trattati. Come ad esempio, l’inserire in un unica discussione il confronto su due quesiti referendari presentati di opposti contenuti. Una nottata interessante e ben documentata nell’articolo di Antonio Madera, “I giochetti del PD in cinque Regioni a sostegno della secessione”(2).
I due quesiti referendari presentati nelle regioni governate dalla sinistra, in Emilia Romagna e Campania, vengono votati non senza qualche sbigottimento politico. Soprattutto in Emilia Romagna dove le minoranze di sinistra che sostengono la giunta, sino a quel momento e su questo argomento, si erano guardati bene dall’agire. Avrebbero potuto, per contrastare il progetto indipendentista, sostenere ad esempio, le richieste avanzate del Comitato NO AD ER, per il ritiro delle pre-intese del 2018, ma ciò non è avvenuto.
Meglio restare acquattati, incuranti di quello che stava veramente succedendo ed in attesa di sapere dal grande gruppo politico come muoversi sull’argomento. Attendisti per opportunità politica, sorretta soprattutto dalla distanza mantenuta proprio da quei Comitati che da anni si opponevano a quel progetto.
Un agire dei Comitati che, a partire soprattutto dalla presentazione della LIP in Emilia Romagna, indicavano, ai partiti di opposizione alla destra di governo di questa nazione e regione, gli spazi politici e giuridici dell’agire per impedire l’avanzata del progetto indipendentista.
I due quesiti referendari sono compatibili tra loro?
Cominciamo con specificare che i due quesiti referendari votati chiedono rispettivamente:
- L’abrogazione, ovvero la cancellazione, della legge Calderoli;
- L’abrogazione solo di una parte di essa.
Due punti di vista ed azione politica apparentemente simile ma sostanzialmente differenti tra loro.
Il primo quesito, è sostenuto da tutti i comitati nazionali e locali, organizzazioni sociali come CGIL, UIL, ARCI, ANPI, PRC etc. molte confluite nell’organizzazione la “Via Maestra” e ha l’obiettivo ben preciso di abrogare la legge.
Il secondo, invece, sostenuto soprattutto da parti importanti del PD, amministrazioni ed amministratori pubblici e gruppi economici locali, mira innanzitutto ad impedire che la legge 86/24 sull’Autonomia Differenziata venga abrogata. In questo modo, si manterrebbe in essere l’impianto complessivo della legge, lasciando così intonsa la possibilità, anche per i Governi che ne seguiranno, di poter agire a colpi di decreti parlamentari.
Azioni politiche utili ad introdurre modalità e deleghe volte e necessarie ad eludere la mediazione politica d’indirizzo dello Stato Nazionale.
In questo modo i promotori, che non a caso sono le 5 regioni amministrate dal Centro Sinistra, riuscirebbero senza intoppi abrogativi, a proseguire verso quegli obiettivi prefissati e che li ha indotti a sostenere sin dall’inizio il progetto di legge sull’Autonomia Differenziata. Un obiettivo politico che, è bene ricordarlo, mira a permettere alle Regioni divenute largamente autonome, di poter dialogare direttamente con i mercati del nord Europa ed emergenti. Non solo, ma avere anche la possibilità di poter agire localmente con norme e regole ambientali, del lavoro, della scuola, della sanità etc. direttamente gestite dagli amministratori pubblici territoriali.
Superficialmente si sottovaluta anche che il quesito solo parzialmente abrogativo sarebbe utile anche al Centro Destra che ha la maggioranza in Parlamento. Una maggioranza sorretta dall’accordo con la Lega che sul progetto autonomista ha basato tutto il suo progetto politico. Una richiesta a cui è doveroso, sul piano politico e per la tenuta dell’attuale maggioranza, dare una risposta immediata. Soprattutto di fronte alla richiesta già avanzata del Veneto e della Lombardia(3) e dalla differente visione politica tra Giorgia Meloni e Salvini, sull’invio delle armi all’Ucraina e del rapporto con l’Europa.
Un obiettivo, certamente i due quesiti referendari votati dai consigli regionali di Campania ed Emilia Romagna, l’anno già ottenuto ed è quello di aver ingenerato confusione tra i cittadini. Ma anche e soprattutto ai militanti dei comitati ed organizzazioni politiche e sociali che a quella legge voglio opporsi. Soprattutto perché da anni hanno spesso agito, nei momenti “caldi” della politica nazionale, di riflesso ed in appoggio politico, alle decisioni prese dal Centro Sinistra.
Questa difficile comprensione, su cui dovrebbero esprimersi tutti i cittadini, finisce inoltre a svilire ulteriormente lo strumento referendario già reso inutile dalla mancata attuazione da parte della classe politica, di diverse richieste di abrogazione. Come il referendum sull’acqua pubblica, vinto anni addietro dai cittadini.
E’ evidente quindi, che questo secondo quesito, oltre a rischiare di inficiare la raccolta delle firme, pone seri problemi anche al possibile raggiungimento del quorum.
Perché allora il secondo e parziale quesito abrogativo di parti della legge?
Lo esprime bene il già magistrato Maria Longo del Comitato contro ogni Autonomia dell’E.R. nella conferenza stampa tenuta lunedì 8 luglio, giorno prima della seduta del Consiglio:
“Vi sfido a leggere come verrebbe fuori la legge Calderoli dopo le interlineature e cancellazioni che sono state apportate con il secondo quesito: assolutamente incomprensibile tranne che in un aspetto – prosegue in modo mirato – Viene lasciato intonso l’articolo 11 della norma transitoria che permette alle Regioni che hanno già firmato le intese con i precedenti Governi (Lombardia, Veneto ed Emilia-Romagna), di riprendere dal punto in cui si erano lasciati, che è molto avanzato per la richiesta di trasferimento di potestà. Conclude poi l’ex magistrato Longo – La legge è così anticostituzionale nel suo pensiero e nel suo contenuto che a mio avviso è assolutamente inemendabile”.
E’ evidente che questo secondo quesito, oltre a rischiare di inficiare la raccolta delle firme, pone seri problemi anche al possibile raggiungimento del quorum.
Esattamente il contrario se fosse abrogata perché le forze politiche che sostengono il progetto di Autonomia Differenziata, sarebbero obbligati a presentare una nuova legge che, se strutturata sul medesimo impianto e medesimi principi, potrebbe essere respinta, in prima istanza dal Presidente della Repubblica o meglio poi, dalla Corte di Cassazione.
Anche dal punto di vista dell’opposizione politica al Centro Destra, il quesito di abrogazione parziale, è un errore.
Ovvero, in questo modo si ridurrebbe la possibilità di alimentare le forti contraddizioni presenti nella maggioranza di Governo. Indebolire la possibile nascita di uno scontro interno alla maggioranza di governo. Si impedirebbe cioè di poter far contrapporre e in parte già se ne intravvedono le prime crepe(4), due concezioni politico-amministrativo che non possono reggere senza la sottomissione di una di esse.
L’ Autonomia Differenziata, strutturata in questo modo, che non ha nulla a che fare con l’autonomia regionale previsto dalla Costituzione, non può essere sviluppata ed autorizzata, come richiesto dalle regioni soprattutto del nord Italia, nel rispetto dell’Unita nazionale e soprattutto del futuro progetto presidenzialista, sostenuto da Giorgia Meloni e da Fratelli d’Italia.
Possibile quindi il ritiro del quesito “parziale”?
Non credo alla voce secondo cui il quesito “parziale” potrebbe essere ritirato nel caso la Corte di Cassazione dovesse approvare quello dell’abrogazione totale. Anche se riportato in un articolo del 8 luglio su La Repubblica, dal costituzionalista Massimo Villone dove illustra i punti della legge che verrebbero abrogati(5). E tanto meno mi convince la medesima tesi sostenuta anche da Alessandro Alfieri il 12 luglio sulle pagine del Fatto Quotidiano.
Innanzitutto perché l’obiettivo della presentazione di quel quesito è finalizzato a ottenere quanto sopra spiegato e dalla Corte di Cassazione, l’obbligatorietà a scegliere tra due opposti quesiti che non possono convivere nella medesima tornata referendaria.
Perchè, tra un quesito che chiede solo la modifica della legge già approvata dal Parlamento, firmata dal Presidente della Repubblica senza neanche rimandarla alle Camere e sostenuto da 5 regioni, cosa crediate possa scegliere?
La scelta mediatica utilizzata dalla “Banda Bonacciniana” (nel senso di suonatori di musica stonata) di far approvare anche il primo quesito è volta più a soddisfare il loro popolo che ad ottenerne il risultato concreto.
Altrimenti avrebbero votato solo quello abrogativo, consentendo cosi a tutti anche di non raccogliere le firme. Oppure avrebbero proceduto con il far ricorso alla Corte Costituzionale o più semplicemente avrebbero potuto riconoscere il valore della LIP presentata in Emilia Romagna e ritirare le pre-intese del 2018.
Ma anche se improbabilmente la Corte di Cassazione dovesse approvare anche il primo quesito, il secondo potrebbe in realtà non essere ritirato. Basta il rifiuto di una sola regione.
Una tesi credo sostenibile e avvallata proprio non solo dalla velocità di approvazione della regione Campania e dalle modifiche avanzate al quesito modificativo ma anche dalle dichiarazioni rilasciate dal presidente De Luca della Campania.
De Luca afferma, nonostante abbia fatto approvare entrambi i quesiti, che “Basterebbe modificare l’attuale legge senza ricorrere al referendum (6)”.
Un affermazione sostenuta anche dall’esposizione di una serie di correttivi e varie precisazioni, che non tengono però conto delle diverse materie che determineranno la perdita delle competenze dello Stato verso le regioni. In pratica lancia un appello affinché venga mantenuto l’impianto giuridico originario. E quindi, la volontà di proseguire nel progetto di Autonomia Differenziata, superando così il rifiuto popolare. Ovvero proseguire nello sviluppo di un’idea politica Autonomista che affonda le sue radici nel pensiero Bonacciniano. Un agire presuntuoso e falso che tende a far credere che grazie al mantenimento del medesimo impianto giuridico delle deleghe da parte dello Stato alle Regioni, il Centro Sinistra garantirebbe impossibilità di una frantumazione dello Stato e l’equità dei servizi tra regioni.
Evidentemente non è servito a nulla l’esperienza fatta, figlia del progetto liberista incarnata anche dal centro Sinistra, che ha portato il PD a sostenere la riforma dell’art. V della Costituzione, la riforma elettorale, lo sbarramento maggioritario, il pareggio di bilancio in Costituzione, il Jobs Act etc.
E allora, avanti con la raccolta firme!
A breve tutte le regioni e province, attraverso la “Via Maestra”(7) e i Comitati vari che sorgeranno o che sono già in essere da anni, saranno mobilitati nella raccolta firme per il quesito che prevede l’abrogazione totale della legge Calderoli. Una mobilitazione a cui nessuno deve sottrarsi dato il pericolo delle operazioni organizzate dalle Regioni con la presentazione anche del secondo quesito.
La sfida non sarò solo quella di raccoglierle in tempi utile, nonostante il caldo e il periodo vacanziero, ma riuscire ad informare in modo chiaro la cittadinanza sulle differenze tra i due quesiti.
Soprattutto, sarà importante riuscire ad evidenziare che l’Autonomia Differenziata non potrà sanare il malcontento dei cittadini che vedono da anni ridursi, anche nelle regioni più ricche, la qualità dei servizi a loro riservati, come scuola, sanità e la progressiva perdita di potere d’acquisto. Come sarà difficile spiegare che questo non è causato dal furto delle tasse versate che alimentano regioni improduttive e dissipatrici, ma dal progetto neo-liberista che vuole distruggere il ruolo dello Stato, attraverso il ricatto del debito pubblico scaricato sullo Stato Sociale.