NO ALLA DEPORTAZIONE DEL POPOLO PALESTINESE

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Trovarsi in piazza Muratori per rivendicare il nostro “No alla deportazione del popolo palestinese” ha un importantissimo significato.

In questa città non è sempre stato facile riuscire a convocare le tante diverse realtà associative modenesi. Forse è stata la necessità di stare uniti, in questo momento molto particolare, difficile, preoccupante, dove tutto sembra precipitare.

Noi non possiamo arrenderci, anzi, al contrario, dobbiamo continuare sempre più ad alzare la voce in difesa e per i diritti del popolo palestinese. Difendere questo diritto significa anche agire affinché questo non sia, anche per noi, considerato un privilegio per ricchi e potenti, per rivendicare il diritto alla giustizia che molti governi del mondo non vogliono più rispettare.

ASCOLTA L’AUDIO DEGLI INTERVENTI DI

  1. Daniel Degli Esposti – storico
  2. Enrico Semprini – Circolo culturale Eretica
  3. Leonarda Leonardi – Modena incontra Jenin
  4. Giovanni Iozzoli – Modena per la Palestina
  5. Federica – Non Una di Meno
  6. Stefano Rebecchi – Presidio Permanente e BDS Modena
  7. Gerardo Bisaccia – ARCI Modena
  8. Mirca Garuti – lettura bollettino Anbamed

 

Quello slogan “No alla deportazione del popolo palestinese” è un atto anche per la difesa del Diritto Internazionale ormai vilipeso e considerato una variabile non rispettabile.

È ora che anche gli organi democratici della città di Modena, dell’Italia e dell’Europa comprendano questo pericolo e rivendichino il diritto del popolo palestinese ad avere un futuro indipendente e libero in Palestina. Denuncino l’ipocrisia e adottino misure concrete per garantire il rispetto dei diritti fondamentali come il fornire assistenza urgente alle vittime di questa tragedia.

A Gaza, sono stati uccisi oltre 62.000 palestinesi, feriti 111.500, la maggior parte donne e bambini, cancellate completamente dall’anagrafe altre 2100 famiglie; l’uccisione di 17.881 bambini di cui 214 neonati, 38.000 orfani di almeno un genitore tra cui 17.000 di entrambi.

Il massacro indiscriminato d’Israele ha lasciato l’85% della popolazione, circa 1,9 milioni di persone, senza casa e prive di cibo, acqua e altri beni essenziali, danneggiato o distrutto la maggior parte delle abitazioni, delle infrastrutture agricole e pubbliche e devastato l’ambiente.

In Palestina la resistenza rimane la migliore garanzia, la miglior azione, affinché questi piani demoniaci non si realizzino completamente.

Ormai la situazione di genocidio basato sul suprematismo razziale è evidente e non è più possibile nascondersi. È come se oggi, ci trovassimo, all’improvviso, tutti travolti da una enorme cascata d’acqua, da cui dobbiamo uscirne per poter respirare di nuovo.

Reagire, capire, studiare la storia e avere il coraggio di prendere una posizione, può essere difficile perché significa schierarsi contro il potere dei forti, dei nostri governi.

È necessario farlo, altrimenti si diventa complici di tutto quello che sta succedendo.

Insieme si possono affrontare tutte le sfide che abbiamo davanti; la de-colonizzazione del mondo, il populismo, il fascismo e il razzismo. Insieme possiamo lottare per ottenere una giustizia globale. Anche se appare quasi impossibile, noi non dobbiamo mai smettere di credere negli esseri umani.

Il dibattito pubblico in Israele, come abbiamo visto, ha oltrepassato ogni possibile limite umano e il governo sta permettendo alle forze armate la libertà di uccidere i palestinesi perché considerati dai suoi ministri alla stregua degli “animali”. Un’azione attuata restando completamente impuniti e rivendicata come necessaria alla propria difesa(1).

Il 7 ottobre 2023, è una data che passerà alla storia.
Per la maggior parte dell’opinione pubblica, plagiata dai mass-media nazionali, esiste “un prima e un dopo” il 7 ottobre, mentre in realtà esiste solo una grande linea retta di violenza e sopraffazione ininterrotta che, ancor prima del 1948, giunge sino ai giorni nostri. Sino all’annuncio di Trump di attuare in Palestina una vera e propria pulizia etnica ai danni del popolo palestinese.

Questa proposta di deportazione ha strappato la maschera portata per anni dai sionisti di area centrista e liberale e dimostra che il sionismo, un’ideologia coloniale dei coloni, è sempre stato, sin dal suo inizio alla fine del XIX secolo, strutturato sul progetto di pulizia etnica del popolo indigeno della Palestina. Un progetto accolto con grande favore dal presidente israeliano Netanyahu e dai suoi ministri più oltranzisti, Smotrich e Ben-Gvir, che sin dall’8 ottobre 2023, invocavano una nuova Nakba e il “completamento” del piano di pulizia etnica iniziato nel 1948, di quella che loro chiamano “Eretz Israel”.

Una cosa è ormai chiara: la Nakba continua ad essere la prigione che tiene in ostaggio il popolo palestinese e che è diventata, la più complessa e diffusa espressione di colonialismo, apartheid e razzismo persistente. Una storia palestinese del passato, presente e futuro, che racchiude tutto.

Non è solo una storia di vittime, ma anche della resilienza palestinese, Sumud. Unico programma unificante che riunisce tutti i palestinesi, oltre i limiti di fazioni politiche o geografica. Ne ha definito l’identità collettiva palestinese.

Per i palestinesi non è semplicemente una singola data da ricordare ogni anno. È l’intera loro storia, la cui conclusione sarà scritta, a tempo debito, dai palestinesi stessi.

È il momento di agire per la giustizia e la dignità del popolo palestinese, e per un impegno globale che metta in primo piano i diritti umani, superando il doppio standard che continua a perpetuare ingiustizie.
Nessun popolo può e deve essere più deportato o ucciso senza pietà nel silenzio internazionale.
Noi dobbiamo continuare a batterci proprio per porre fine a tutto ciò.
Utopia? Ma senza Utopia, si resta fermi a subire.