La notte tra il 14 e 15 aprile 2011 nessuno potrà dimenticarla. Una notte, durante la quale alcuni giovani appartenenti ad una cellula del gruppo qaedista Tawhid wal Jihad, rivale di Hamas, misero fine alla vita di Vittorio Arrigoni, gettando nel dolore una madre, una sorella e migliaia di palestinesi e italiani. In questi lunghi mesi si è assistito ad un procedimento sostanzialmente regolare, aperto al pubblico e alla stampa, ma non si può tacere sul fatto che la corte è stata troppo accondiscendente nei confronti delle strategie degli avvocati della difesa. Per quasi un anno si sono visti testimoni chiamati di fronte ai giudici solo per confermare le deposizioni fatte durante le indagini. Il dibattimento quasi non c’è stato.
Il percorso delle 16 udienze
08/09/2011 Il processo ha inizio. Gli imputati: Mohammed Salfiti, 23 anni di Karama, Tarek Hasasnah, 25 anni di Shate, Amer Abu Ghoula, 25 anni di Shate e Khader Jram. Gli altri due elementi del gruppo dei rapitori, il giordano Breizat e il palestinese Bilal Omari, considerati i «capi» della cellula salafita, non possono raccontare la loro versione: sono stati uccisi un paio di giorni dopo il ritrovamento del corpo di Vik, durante il blitz effettuato nel loro rifugio di Nusseirat da un’unità scelta di Hamas. Dopo cinque mesi dall’assassinio di Vittorio, è la prima volta che viene reso noto, anche se solo in parte, il file delle indagini svolte dalla procura militare di Hamas (tutti e quattro gli imputati sono membri con compiti diversi delle forze di sicurezza) e mai consegnato ai legali della famiglia Arrigoni. Il presidente della Corte, nemmeno quarantenne, non ha ammesso fra le parti l’avvocato Eyal al-Alami, il quale aveva ricevuto in extremis un incarico di patrocinio dalla famiglia della vittima dopo che il legale italiano, Gilberto Pagani, non era riuscito ad entrare dall’Egitto nella Striscia. La prima udienza è terminata in uno sbrigativo rinvio al 22 settembre.
22/09/2011 Ore 10: L’aula è piccola, sporca, spoglia. Nessuna scritta, nessun simbolo politico o religioso. Lo scranno del Tribunale è molto sopraelevato, per il pubblico ci sono delle panchette, le persone presenti sono una trentina, molti gli italiani. I banchi dell’accusa e della difesa sono uno di fronte all’altro, la cattedra della Corte è perpendicolare a loro; il banco dei testimoni è di fronte ai giudici, il teste volta le spalle agli avvocati ed al pubblico. Sulla destra, la gabbia nella quale sono fatti entrare i quattro imputati. Un militare in tuta mimetica, barbuto come tutti, ricopre la funzione di usciere, è lui che batte con forza il palmo della mano sul banco dei testimoni e lancia un urlo, “entra la Corte”. Il presidente della Corte avrà circa 30 anni, così come i giudici a latere, il Pm e i suoi assistenti. Tutti vestono camicie militari senza alcun distintivo o grado. L’udienza è brevissima, è interrogato un agente che conferma i filmati con le confessioni degli imputati. Poi a turno gli imputati sono interrogati dalla Corte. Uno è accusato di aver aiutato gli assassini, gli altri tre di sequestro di persona ed omicidio; questi ultimi si riconoscono nelle immagini che sono mostrate solo a loro e non al pubblico, ma affermano che le confessioni sono state estorte con vessazioni e minacce. Viene reintrodotto l’agente, che nega ci siano state pressioni. Di nuovo un colpo sul banco e un urlo da parte dell’usciere: l’udienza è rinviata al 3 ottobre per ascoltare il medico legale che oggi non si è presentato. L’avvocato della famiglia Arrigoni, Gilberto Pagani racconta: “Alla fine di questa prima udienza vado ad incontrare il Procuratore militare, nel suo ufficio. Gli pongo tre domande:
Possiamo accedere agli atti delle indagini?
Risposta «L’inchiesta è militare, il processo è pubblico, venite al processo e saprete quello che c’è da sapere».
Sono state fatte indagini sulla morte dei due sospettati nel conflitto a fuoco con la polizia? Risposta «Un’inchiesta della polizia ha appurato che tutte le regole sono state rispettate, per altre informazioni potete leggere quel che è stato scritto dalla stampa».
La Procura chiederà la pena di morte per i colpevoli?
Risposta «La punizione prevista dalle nostre leggi in questo caso è la pena di morte».
Sono assolutamente stranito. Mi aspettavo una procedura da Corte militare, rapida, forse spietata, comunque finalizzata a cercare una ricostruzione dei fatti, se non la verità, che sia la base per una decisione. Assisto ad un processo in cui i tempi sono dilatati senza ragione, la Procura imprecisa e svogliata, gli avvocati assenti, l’interesse pubblico nullo, la Corte inutilmente autoritaria. Non è plausibile che in una situazione (anche territoriale) come questa, il medico legale non si presenti per quello che è il primo atto di un processo per omicidio, cioè illustrare le cause della morte di una persona.
03/10/2011 L’udienza è durata meno di un’ora. Sono stati ascoltati due testimoni, tra i quali il Dottor Alaa al Astal, il patologo di Gaza che ha esaminato il cadavere di Vittorio ed ha effettuato l’autopsia. Astal ha confermato la morte avvenuta per strangolamento e che la vittima aveva subito percosse ed un violento colpo alla testa mentre era con le mani e i piedi legati. In apertura d’udienza si apprende che uno degli imputati non è più detenuto. Si tratta di Amer Abu Ghoula, che aveva dato rifugio ai due «capi» in fuga. Viene processato, ma è a piede libero. Inoltre, è emerso un dato errato verbalizzato durante le indagini…
17/10/2011 Udienza lampo, verità lontana. Nessuno ha ancora chiesto agli imputati perché Vittorio fu rapito e poi ucciso. Venti minuti ed un altro rinvio.
03/11/2011 Un’udienza con pochissimo pubblico. Alcuni amici palestinesi e italiani di Vik e qualche parente degli imputati, mentre a nord di Gaza, lungo la «zona cuscinetto» creata da Israele, un missile di un elicottero ha ucciso due palestinesi: un contadino che si trovava nel suo campo ed un militante delle Brigate Ezzedin al Qassam che aveva preso parte poco prima ad uno scontro a fuoco con reparti israeliani. La quinta udienza del processo è finita dopo 50 minuti. La delusione è cocente. A due mesi dalla prima udienza, il dibattimento rimane incagliato su questioni procedurali e su aspetti secondari.
24/11/2011 La sesta udienza è durata pochi minuti. Il processo è stato subito aggiornato. Un altro nulla di fatto.
05/12/2011 “Nella casa di Vittorio c’erano tante donne?”. Con queste parole l’avvocato della difesa si è rivolto all’unico testimone ascoltato oggi durante la settima udienza del processo ai rapitori e agli assassini di Vittorio Arrigoni. Anche questa volta la sessione, durata 45 minuti, si è concentrata su aspetti secondari e forvianti e l’accusa non ha ancora investigato sul reale motivo che ha spinto i quattro imputati a rapire ed uccidere Vittorio.
19/12/2011 È stata un’udienza breve ma di una certa importanza. Finalmente, il processo in corso a Gaza city per l’assassinio di Vittorio Arrigoni ha fatto un passo in avanti dopo tre mesi trascorsi a dibattere spesso solo di questioni procedurali. La Pubblica accusa militare ha portato in aula l’hard disk del computer dove sono state ritrovate le immagini del rapimento di Vittorio. L’udienza si è svolta, mentre era diffusa in rete, la lettera di risposta della madre e della sorella di Vittorio alla «richiesta di perdono» inviata dalle famiglie di tre dei quattro imputati. Il processo Arrigoni a Gaza è giunto ad una fase di stallo.
05/01/2012 Le indiscrezioni annunciavano un’udienza di particolare importanza. Si sperava perciò di assistere ad un dibattimento concreto. Le cose però sono andate nella direzione opposta a quella desiderata. L’ultima udienza è stata la più breve delle nove che si sono svolte dallo scorso 8 settembre ad oggi ed anche la più inutile e, per certi versi, paradossale. La prima sorpresa è venuta da Amer Abu Ghoula, uno dei quattro imputati, agli arresti domiciliari perché accusato di reati minori. La corte, registrata la sua assenza, ha subito spiccato un mandato d’arresto, ma fino a ieri sera di Abu Ghoula non si sapeva nulla. La seconda sorpresa è stata la rapidità con la quale la stessa corte, dopo aver appreso che la difesa non aveva ricevuto alcuni documenti relativi alle prove prodotte dalla procura militare, ha aggiornato il processo. La durata dell’udienza, solo quattro-cinque minuti in tutto. È inaccettabile.
16/01/2012 Per la seconda volta consecutiva, l’udienza è durata pochi minuti. Il processo è stato subito aggiornato. Non si sono presentati in aula i testimoni della difesa, pare per motivi di lavoro, e uno degli avvocati ha prontamente chiesto il rinvio. Intanto resta un mistero l’assenza in aula di Amer Abu Ghoula, uno dei quattro imputati. Eppure, le corti militari di Gaza, quando vogliono, sanno essere rapide e terribilmente spietate. Questo mese hanno emesso una nuova condanna a morte, la prima del 2012, la 36ma da quando Hamas ha preso il potere a Gaza nel 2007. L’11 gennaio scorso un tribunale ha condannato a morte per impiccagione un palestinese di 48 anni, colpevole di collaborazionismo con imprecisate forze ostili e di complicità in un omicidio.
30/01/2012 Anche quest’udienza è terminata nel giro di pochi minuti, come le altre di gennaio. I testimoni della difesa, per l’ennesima volta, non si sono presentati e la corte ha aggiornato il processo.
13/02/2012 Sarà merito delle sollecitazioni alla corte promesse un paio di settimane fa dal capo della procura militare, o degli echi a Gaza dell’insoddisfazione degli italiani per la lentezza del processo, che dopo le ultime tre udienze «lampo» questa è stata per così dire «normale», almeno nello svolgimento e nella durata (circa un’ora). Sono finalmente apparsi in aula i testimoni convocati dalla difesa, che non si erano presentati alle ultime udienze. Nessuna traccia ancora di Amr Abu Ghoula, agli arresti domiciliari perché accusato di favoreggiamento e non dell’assassinio di Vittorio. Di Abu Ghoula non si sa più nulla. Ha violato l’ordine della corte di partecipare alle udienze e contro di lui è stato spiccato un mandato d’arresto. Al tribunale però nessuno sa o vuole dire dove sia finito. La strategia della difesa è chiara. L’obiettivo è quello di scaricare ogni responsabilità sul capo della presunta cellula salafita che ha rapito e ucciso Vittorio, il 22enne giordano Abdel Rahman Breizat, morto in un conflitto a fuoco con la polizia di Hamas.
27/02/2012 Cinque minuti. I giudici, dopo aver esaminato la lettera inviata a fine 2011 a Gaza dalla famiglia Arrigoni – come risposta all’appello alla clemenza lanciato dalle famiglie dei quattro imputati, nella quale si esprime netta opposizione ad un’eventuale condanna a morte – hanno aggiornato il processo al prossimo 15 marzo, per la richiesta di uno degli avvocati della difesa che lamentava di non aver ancora potuto esaminare tutti gli atti (è accaduto più volte in questi mesi).
15/03/2012 L’allerta che da una settimana regna nella Striscia di Gaza per i raid aerei israeliani (26 morti palestinesi), è la causa del rinvio dell’udienza. Le autorità di Hamas hanno ordinato l’evacuazione di tutte le strutture militari e di sicurezza. La corte perciò è rimasta chiusa.
02/04/2012 Si annunciava un’udienza affollata questa mattina alla corte militare di Gaza city. Ci si attendeva una ripresa nel segno della concretezza, e invece le cose sono andate come sempre. La solita udienza-lampo. Stavolta in aula non mancavano i testimoni convocati dalla difesa, com’è spesso capitato in passato, ma gli stessi avvocati dei quattro imputati. E’ stato nominato un avvocato d’ufficio che, però, non avendo seguito il “caso”, ha chiesto e ottenuto il rinvio per poter leggere gli atti.
12/04/2012 Si avvicina la data del primo anniversario della morte di Vittorio (15/04/11), ma il suo assassinio resta in gran parte senza risposte. Troppi sono i lati oscuri di questo crimine. Se la procura di Gaza è stata in grado di risalire in poche ore ai responsabili del rapimento e dell’uccisione di Vik, i giudici della corte militare invece non sono stati altrettanto solleciti. Il processo è stato segnato sin dal suo inizio, lo scorso settembre, da udienze lampo, dall’assenza frequente dei testimoni e dalle manovre della difesa volte unicamente a guadagnare tempo. Dopo una quindicina d’udienze, agli imputati è stato chiesto di spiegare i motivi del rapimento di Vik. Ed ecco il colpo di scena: nel giorno della prima vera udienza del 2012, tre dei quattro imputati per l’assassinio di Vittorio hanno lanciato un insidioso tentativo di gettare fango sulla figura dell’attivista e giornalista italiano. Ritrattando in buona parte le confessioni che avevano reso negli interrogatori seguiti all’arresto da parte della polizia di Hamas, i tre hanno recitato, davanti ai giudici della corte militare di Gaza city, la parte dei giovani difensori delle tradizioni sociali «minacciate» da un presunto stile di vita troppo «liberal» di Vittorio. «Volevamo dargli soltanto una lezione, gli altri intendevano ucciderlo ma noi non lo sapevamo», hanno proclamato i tre cavalieri della moralità. Un passo vergognoso, vile, frutto di una strategia precisa degli avvocati della difesa, che mira a macchiare l’immagine di Vik che di Gaza aveva fatto la sua bandiera e che ai diritti dei palestinesi aveva dedicato, negli ultimi anni, il suo impegno politico ed umano. Inoltre gli imputati hanno sostenuto di aver confessato la loro partecipazione al rapimento e all’assassinio dell’italiano «sotto la forte pressione» degli inquirenti. Hanno quindi smentito di aver preso parte al sequestro allo scopo di ottenere la scarcerazione dello sceicco Al Maqdisi e, più di tutto, hanno negato di essere stati a conoscenza di un piano per uccidere l’attivista italiano. A loro dire questo piano era stato concepito dai due «capi» del gruppo di rapitori, il giordano Breizat ed il palestinese Bilal Omari, rimasti uccisi poco dopo l’assassinio di Vittorio in uno scontro a fuoco con la polizia. È evidente il tentativo degli avvocati della difesa di far ricadere tutte le responsabilità su Breizat e Omari che non possono raccontare la loro versione dei fatti. Prossima udienza 14 maggio 2012 e, secondo alcune voci, potrebbe essere l’ultima prima della sentenza.
14/05/2012 Niente di fatto. L’udienza slitta ancora. Il Presidente della Corte militare, per presunti altri impegni, non si è presentato nell’aula del tribunale allestito presso la Prefettura. Questa doveva essere un’udienza importante dove il Pubblico ministero avrebbe dovuto riassumere e precisare i capi d’accusa contro gli imputati e presentare la sua richiesta di condanna e gli avvocati della difesa avrebbero invece dovuto persuadere la corte della loro innocenza o almeno di una loro “parziale” responsabilità. Nessuno era stato avvisato in tempo dell’aggiornamento del processo al 28 maggio.
28/05/2012 La Corte militare di Gaza City oggi è rimasta chiusa. Il Giudice capo è “in vacanza”. Nessuno delle autorità di Hamas ha comunicato il rinvio dell’udienza, neppure al Centro palestinese per i diritti umani che segue, come osservatore, il processo Arrigoni. Prossima udienza: 27 giugno. Ancora un altro mese. E’ uno scandalo! Il governo di Hamas aveva promesso un processo vero, ma, l’unica cosa vera in tutto questo, rimane solo la completa indifferenza di tutti verso una giustizia alla quale non si vuole arrivare.
27/06/2012 Sedicesima udienza. I due avvocati difensori hanno chiesto che i 4 fossero riconosciuti non colpevoli, causa assenza di prove e testimoni ed inoltre, hanno presentato richiesta di scarcerazione per l’avvicinarsi del Ramadan (inizierà il 21 luglio), periodo sacro per i musulmani. La nuova udienza è prevista tra oltre 2 mesi, il 5 settembre, data la chiusura della corte militare per la festività musulmana. In quella data spetterà all’accusa presentare le proprie richieste, per poi arrivare finalmente alla sentenza.
05/09/2012 L’attesa di italiani e palestinesi è risultata vana. La sentenza è slittata al 17 settembre. L’avvocato Gilberto Pagani, giunto a Gaza su incarico della famiglia Arrigoni, ed i suoi colleghi del Centro palestinese per i diritti umani, hanno sperato, per ore, in un possibile cambiamento della decisione del rinvio da parte dei giudici della Corte militare. Speranza vana. Si attendeva la sentenza e tanti si preparavano ad affollare la piccola sala che ospitava i giudici militari di Hamas. Lo slittamento di date non ha però rappresentato una totale sorpresa. Dalla data della prima udienza, il procedimento ha preso, mese dopo mese, una brutta piega. Diverse udienze sono state aggiornate solo un paio di minuti dopo il loro inizio, per l’assenza dei testimoni convocati dalla difesa o per motivi apparentemente banali. Non c’è mai stato un vero dibattimento. Rare volte sono state ascoltate le voci degli imputati. Non è stato un processo irregolare, ma tanti punti rimangono oscuri. Non sorprende perciò che sulla sentenza regni una forte incertezza. La verità resta lontana.
17/09/2012 La Sentenza: Ergastolo
“La Corte militare chiude con pesanti condanne il processo per l’omicidio di Vittorio Arrigoni. Giustizia è fatta, ma troppi interrogativi restano in sospeso sulla regia del sequestro. Carcere a vita e lavori forzati ai due esecutori, 10 anni all’ex amico del pacifista.”
La sentenza ci raggiunge in Libano durante la settimana di commemorazione del massacro di Sabra e Chatila. Sollievo, gioia, tristezza, dolore, sofferenza, rabbia, sono i sentimenti provati da noi tutti a questa notizia.
Michele Giorgio nel suo articolo che chiude il “Dossier Vittorio Arrigoni” su “Il Manifesto” parla anche a nome nostro:
“Giustizia è fatta, commenterà qualcuno. Che amarezza però. Ci sarebbe più di un motivo per essere soddisfatti. Gli imputati sono stati condannati per il delitto che avevano confessato eppure la tristezza è tanta in queste ore. Nessuna condanna potrà ridarci Vik. Neppure quella severa inflitta ieri dalla corte militare di Gaza city ai quattro giovani palestinesi accusati del sequestro e dell’omicidio del giovane attivista e giornalista che, come nessuno nella sinistra italiana di questi ultimi anni, aveva saputo attirare tanta attenzione verso la causa dei palestinesi di Gaza. Il pensiero corre in queste ore alla madre e alla sorella di Vittorio. Come hanno accolto la sentenza, ci chiediamo. Due donne che con fermezza e dignità, nel rispetto degli ideali di Vik, si erano subito espresse contro la condanna a morte degli assassini. «Vogliamo giustizia» non vendetta scrissero in una lettera inviata ai famigliari degli imputati che imploravano clemenza.
I giudici ieri hanno inflitto il carcere a vita e un periodo di lavori forzati a Mahmud Salfiti e Tamer Hasasna, due esecutori materiali del sequestro ideato assieme al giordano Abdel Rahman Breizat e al palestinese Bilal Omari, entrambi rimasti uccisi in un conflitto a fuoco con la polizia di Hamas. Ad un anno di carcere è stato condannato Amr al Ghoula, il fiancheggiatore che aiutò tre membri del gruppo a nascondersi dopo l’assassinio. Al Ghoula è già a piede libero da mesi.
Dieci anni di prigione dovrà scontare Khader Jiram, vigile del fuoco e amico di Vittorio Arrigoni, accusato di aver fornito informazioni decisive ai killer sui movimenti dell’italiano a Gaza. Questa condanna se da un lato può apparire adeguata al reato commesso da Jram – che non ha preso parte diretta al rapimento e all’assassinio – dall’altro provoca tanta rabbia. Jram a ben guardare è il più colpevole di tutti perché conosceva Vik che lo aveva anche citato in uno dei suoi racconti, dopo un attacco aereo alla stazione dei vigili del fuoco sul lungomare di Gaza city. Jram avrebbe dovuto respingere la richiesta di Hasasna di «tenere d’occhio» l’italiano per capirne i movimenti e le abitudini. Si prestò invece all’organizzazione di un crimine contro un attivista impegnato a diffondere le ragioni dei palestinesi sotto occupazione, che quotidianamente andava nei campi coltivati della «zona cuscinetto» per proteggere, con la sua sola presenza, i contadini dagli spari israeliani. Un giovane coraggioso che aveva passato mesi assieme ai pescatori di Gaza tenuti sotto tiro dalla Marina militare israeliana. Durante l’interrogatorio Jram spiegò agli investigatori di aver accettato di seguire i movimenti di Vittorio «perché non poteva respingere l’insistenza di Hasasna». E per quella insistenza ha tradito e fatto uccidere un amico. Certo anche Bilal Omari, che pure conosceva Vittorio, merita disprezzo ma lui ha pagato con la vita il crimine che ha commesso.
Vittorio fu rapito da una cellula del gruppo qaedista Tawhid wal Jihad, rivale di Hamas, la sera del 13 aprile 2011. Abdel Rahman Breizat, il capo della cellula, sperava di convincere il governo di Hamas a rilasciare un leader salafita, Hisham al-Saidni, un teorico del salafismo jihadista arrestato a Gaza qualche settimana prima. Vik fu mostrato il giorno successivo bendato e gravemente ferito alla testa in un video postato in internet dai sequestratori. Nelle ore successive la polizia fu in grado di inviduare la casa dove l’italiano veniva tenuto ostaggio ma prima che le forze speciali di Hamas facessero irruzione nell’appartamento a nord di Gaza, i rapitori uccisero Vittorio, peraltro ben prima dello scadere dell’ultimatum fissato per il rilascio di Saidni. Hasasna e Jmar furono arrestati subito. Breizat, Omari e Salfiti provano a fuggire ma furono individuati in un appartamento di Nusseirat dalla polizia. Dopo un lungo assedio Breizat e Omari morirono in uno scontro a fuoco con le forze di sicurezza dai contorni mai chiariti del tutto. Salfiti, rimasto ferito ad una gamba, fu arrestato e incarcerato. Saidni è stato recentemente liberato senza imputazioni dopo essersi impegnato a non disturbare l’ordine pubblico, ha annunciato Hamas. Il gruppo Tawhid wal Jihad non ha ancora commentato la sentenza.
La severa condanna per due dei quattro imputati ha parzialmente legittimato le autorità giudiziare di Gaza, dopo un processo zoppicante, segnato da udienze brevissime e da rinvii inattesi e dall’assenza di un vero dibattimento. Forse Hamas ha voluto dare un segnale all’Italia e ai tanti amici e compagni di Vik che chiedevano giustizia. Questa sentenza però chiude solo una parte della vicenda. Troppi interrogativi rimangono senza una risposta. I rapitori hanno agito per conto di un regista esterno? Avevano deciso di eliminare in ogni caso Vittorio? Sono gli unici colpevoli? A noi resta una sola certezza: la scomparsa di un giovane che amava Gaza – non Hamas come ha affermato ieri un giornalista italiano -, che credeva nella giustizia, nella legalità, dei diritti di tutti i popoli. Nel rispetto della dignità dell’uomo. «Restiamo Umani» ci diceva sempre. Sì, Vik, resteremo umani, anche grazie a te.”
05/10/2012
Fonte: Il Manifesto- Dossier Vittorio Arrigoni – Agenzia Nena News