Questo 25 aprile, non deve essere solo un giorno commemorativo, ma anche il giorno in cui le lotte per l’antifascismo, l’antirazzismo, il femminismo, tornino a riempire le piazze, per dire che un altro mondo è possibile, un mondo libero, senza sfruttatori.
Ricordare, i partigiani di ieri e di oggi, significa non abbassare la guardia. Il fascismo non è scomparso, c’è ancora, da noi e nel mondo intero.
Lidia Menapace lo chiama “Fango” e noi dobbiamo liberarci da questo fango.
Quello che è successo venerdì 23 mattina, al processo dei 26 militanti antifascisti di Carpi (MO), per quello che è accaduto nel 2017 contro un presidio di Forza Nuova, è un chiaro segnale. (1)
Che Guevara, simbolo di idealismo e ribellione, tra le sue tante citazioni, ce n’è una oggi che voglio ricordare:
“Smetterò di combattere il giorno in cui tutti gli uomini saranno liberi di esprimere il proprio parere e non esisterà più, in nessun luogo della terra, alcun sfruttato”.
La Resistenza, non è finita, anzi, deve continuare. Le lotte ancora oggi di tanti popoli ne sono la dimostrazione. Perché, purtroppo, la guerra non è uscita dalla storia nel 1945, ma prosegue in molte parti del mondo. Una guerra che ha molti modi per manifestarsi.
La nostra è una guerra che riguarda il lavoro, lo stato sociale, lo sfruttamento dei più deboli (donne, stranieri), l’ambiente, la sanità, l’istruzione. La nostra vita.
Ci sono poi guerre militari, occupazione di territori, prigioni, uccisioni, massacri, fatti e azioni che oggi, proprio oggi, vanno ricordate anche se queste apparentemente sembrano lontane da casa nostra.
Penso, per esempio, alla lotta per la propria libertà del popolo palestinese, sotto occupazione militare dallo Stato di Israele dal 1948, che non si è mai fermata, non si è mai arresa.
Questa fermezza è stata ed è dettata dalla volontà di sapere di essere dalla parte giusta e per questo di non voler cedere. Parlare di palestinesi, significa parlare di profughi. Quella parte di questo popolo che vive la condizione peggiore. Mi riferisco soprattutto a quelli che vivono in Libano.
I profughi palestinesi fuggiti in Libano nel 1948 hanno sempre vissuto una vita molto difficile, la peggiore in assoluto. Senza nessun diritto, dal lavoro, alla sanità, istruzione, proprietà, al libero movimento, ammassati in dodici campi, senza la possibilità di poter ritornare alle loro vecchie case in Palestina. I servizi elementari all’interno dei vari campi come, acqua corrente, elettricità, fogne, linee telefoniche, strade asfaltate, mancano ancora oggi. Non permettendo di poter oltrepassare il limite del perimetro assegnato, sono costretti, per rispondere all’enorme aumento della popolazione, dovuta alla sua naturale crescita ed anche a causa dell’arrivo di altri rifugiati della guerra in Siria, ad innalzare piani su piani sopra le case esistenti.
Il tutto, nel più totale silenzio della comunità internazionale. Sono praticamente invisibili, nessuno ne parla, ma sono uomini, donne, vecchi e bambini che, nonostante tutto, sperano ancora in un miracolo.
Oggi, a causa della pandemia del Covid19, della crisi finanziaria/economica del governo che ha portato il paese alla bancarotta e all’esplosione del porto di Beirut del 4 agosto scorso, la vita dei rifugiati sta diventando insostenibile e il tasso di estrema povertà è triplicato. Il paese è al collasso e ai rifugiati palestinesi restano preclusi i beni di prima necessità sostenuti dal governo, perché considerati “stranieri”.
I palestinesi sono un popolo che vive ancora sotto l’ultima occupazione nel mondo. La più feroce, mantenuta con guerre, massacri e soprusi esercitati da un governo, il cui premier, nonostante sia sotto processo per corruzione, ha vinto le quarte elezioni a marzo scorso ed ha ricevuto l’incarico di formare un nuovo governo ma, per farlo ha stretto alleanze con il partito Sionismo religioso e con forze di estrema destra.
Il risultato di questa scelta si è visto giovedì scorso, verso sera a Gerusalemme est, quando ci sono stati scontri violenti tra militanti di estrema destra israeliani, palestinesi e polizia
La polizia ha sparato proiettili di gomma e granate assordanti che hanno causato il ferimento di 105 palestinesi, di cui 22 sono stati costretti a ricorrere a cure mediche.
In quegli scontri echeggiava un unico coro: Morte agli arabi! (2)
Significativo è il silenzio del governo israeliano di fronte a tutta questa violenza.
Come in ogni guerra, anche in Palestina c’è anche il problema legato ai prigionieri politici.
Il numero dei prigionieri palestinesi che si trovano nelle carceri israeliane, da prima del trattato di Oslo ad oggi, sono 4.450 di cui 140 sotto i 18 anni, 26 prima di Oslo e 440 in detenzione amministrativa, una misura di restrizione della libertà individuale applicata, senza processo giudiziale, per ragioni di sicurezza.
Ma criticare Israele e appoggiare il BDS (movimento di boicottaggio, disinvestimento e sanzioni) anche qui in Italia, è molto difficile, perché si viene subito accusati di “antisemitismo”.
Un chiaro esempio, lo possiamo trovare, in un fatto accaduto nel 2017: l’associazione “Solomon Osservatorio sulle discriminazioni” aveva inviato al Sindaco Sala di Milano, la richiesta di discriminare la partecipazione del gruppo BDS alla manifestazione del 25 aprile con accuse false e infamanti. Questo però non è un fatto isolato, succede spesso, proprio in occasione di questa data importante.
Quando, si parla di Palestina, non si può non parlare e non ricordare, Vittorio Arrigoni, ucciso proprio 10 anni fa a Gaza.
Vittorio si definiva Comunista e Partigiano. Partigiano perché significa “prendo parte” e lui aveva scelto da che parte stare. Lottava per i diritti degli ultimi. I rappresentanti del governo italiano (Berlusconi), quando fu ucciso, sono stati completamente assenti, nessun riconoscimento pubblico, nessuna presenza né al suo arrivo in Italia e né al suo funerale. Ignorato completamente, come se non fosse neppure un italiano. Certo Vittorio si trovava a Gaza di sua spontanea volontà ed è stato ucciso da Hamas, considerato un gruppo terrorista, ma le dinamiche della sua uccisione sono ancora tutte da scoprire (3).
Un altro esempio è il popolo Curdo. Un popolo in lotta da sempre che vive in 4 Stati: Turchia, Irak, Iran e Siria.
La repressione in Turchia, lo sappiamo tutti, è molto alta. Perfino Draghi se ne è accorto. Peccato però che continui a vendergli le armi. Non a caso, la Turchia è definita la “Prigione delle nazioni” e Ocalan, il leader del Partito dei lavoratori curdi, si trova rinchiuso in totale isolamento sull’isola di Imrali nel Mar di Marmara, da 22 anni.
Migliaia di prigionieri politici curdi che si trovano nelle carceri speciali turche hanno organizzato anche lunghi scioperi della fame per protestare contro l’isolamento di Ocalan. Quello più conosciuto, è iniziato a novembre 2018, è durato 7 mesi, ed ha visto la partecipazione di oltre 7 mila tra prigionieri politici e attivisti sparsi in tutto il mondo. E’ grazie a questo sciopero, attuato dal popolo curdo, che sono riusciti ad ottenere uno stop a questo isolamento ed a consentire agli avvocati di Ocalan di poterlo incontrare in due occasioni, il 2 e il 22 maggio 2019.
La filosofia di vita di Ocalan è:
“Combattere per tutta l’umanità senza nessuna distinzione di etnie, in quanto siamo tutti uomini”.
Per i Curdi, fare una rivoluzione significa prima di tutto impegnarsi, studiare, lavorare su tanti fronti e la cultura è la parte più importante. L’obiettivo dev’essere quello di essere al servizio del popolo. Si combatte con le armi, ma anche con le idee e con il pensiero, contro il sistema capitalista.
L’idea di Ocalan di società è basata sul progetto “Confederalismo Democratico”. Una società democratica-ecologica organizzata in senso comunale, contro i poteri statali, la guerra, la violenza.
Un’idea che fa paura ai potenti. Forse però è anche l’unica alternativa che rimane per migliorare questo mondo.
Un altro Partigiano dei nostri giorni, è Lorenzo Orsetti, detto Orso. Partigiano per la libertà di tutti noi. In Siria ha lasciato scritto alcune parole, come una specie di testamento:
“Sono morto facendo quello che ritenevo più giusto, difendendo i più deboli e la libertà e rimanendo fedele ai miei ideali di giustizia, uguaglianza e libertà”.
Oggi, 25 aprile, il comitato del Premio Giacomo Ferrari, ha deciso di conferire il premio per i racconti del reale sulla Resistenza e la lotta per la libertà del mondo, al libro “Orso” (4) non solo per il valore di testimonianza degli scritti e per onorare la sua figura di giovane coraggioso e libero, ma anche per dare una forte risposta a quei servitori della Repubblica che dovrebbero sapere che lo Stato Italiano è nato dalla Resistenza e dalla lotta antifascista.
Da queste lotte noi tutti possiamo ancora imparare!
1 – http://alkemianews.it/index.php/2021/04/24/antifascisti-carpi/