E’ stato importante realizzare a Mantova, per la Giornata internazionale dell’8 marzo, una mostra per il Kurdistan dal titolo “Donna, Vita, Libertà”. Un’esposizione che ci ha permesso di mettere al centro la donna di ogni luogo, con la propria battaglia per la autodeterminazione, libertà ed uguaglianza.
Il cammino è lungo e non facile, anche per chi, come noi, ritiene di aver in parte ottenuto questi diritti, ma nulla al confronto, con altri paesi, come l’Iran, l’Afghanistan, Turchia, Arabia Saudita ecc, dove ancora oggi, si muore anche solo per un’idea di libertà e diritto.
In questa giornata e prima di parlare della mostra, ho voluto ricordare due donne, curde iraniane, detenute nel carcere di Evin a Teheran, condannate a morte: Pakhshan Azizi e Wirishe Moradi, conosciuta come “Ciwana Sine” (1).
Azizi, un’assistente sociale curdo-iraniana condannata per “attività armate contro la Repubblica islamica”, è stata arrestata il 4 agosto 2023.
Verisheh Moradi, conosciuta anche come Ciwana Sine, Era stata arrestata il 1° agosto 2023. Scomparsa per mesi, si è saputo che era stata incarcerata a Sine, torturata e interrogata per settimane, dai servizi segreti iraniani subito dopo il suo arresto. Poi il suo trasferimento a Teheran alla fine di agosto.
Una detenzione protratta sino a febbraio di quest’anno, dove è stata accusata di “inimicizia verso Dio” e “ribellione armata contro lo Stato” in relazione alla sua presunta appartenenza al “Partito per una vita libera in Kurdistan” (PJAK). Un reato in Iran punibile con la morte. Sentenza speriamo non arrivi dato che il suo caso è ancora in appello.
Ho avuto il piacere di conoscere Ciwana, a cui sono particolarmente legata, nel 2018 a Sulaymaniyah. Era venuta con un’altra donna, Berivan, nel nostro albergo per raccontarci la sua attività e della situazione in Iran. È stata un’esperienza molto positiva, passata con una donna/militante, solare e simpatica. Ricca di amore per il proprio paese e per la propria causa. Un dolore oggi sapere ciò che gli sta accadendo.
Le foto della mostra
Attraverso la mia esperienza e foto, ho provato a raccontare una parte della vita e lotta storica del popolo curdo, delle donne curde, ritratte in vari momenti e luoghi diversi. Donne e uomini che lottano senza tregua.
Ho scelto lo slogan “Donna, Vita e Libertà” come titolo, perchè è ripetuto oggi in molte piazze, sui social, sui giornali, tv, nei discorsi dei giovani, di tutto il Medio Oriente e anche qui da noi in Occidente. Perché è un grido che ha radici lontane. Nasce dalle donne curde ed è dedicato, non solo per la libertà della donna, ma per l’intera società.
Era già presente negli anni 60’ e 70’ del secolo scorso nella rivoluzione contro il governo centrale di Baghdad. Oggi si ispira alla lotta delle donne curde in Iran contro l’oppressione statale e il patriarcato, in Turchia e in Siria, usato nella lotta contro l’ISIS fino a divenire un simbolo della lotta di tutte le donne non solo curde.
Questo slogan, infatti, è andato ben oltre le sue origini, trovando quindi una nuova identità globale nella lotta delle donne per la propria dignità. Gli slogan, viaggiano come le idee, si adattano all’ambiente e possono anche mutare il proprio significato originario, mantenendo però il medesimo obiettivo: quello per una società libera per tutti.
Il Newroz antica festa di libertà
Ho conosciuto il popolo curdo in Turchia durante la mia partecipazione ai festeggiamenti del Newroz. Viaggi organizzati da UIKI (2) e messi in opera dall’Ass.ne Verso il Kurdistan (3) di Alessandria.
Siamo stati a Diyarbakir, Van e in piccoli paesi sperduti tra le montagne. Molto emozionante è stato il Newroz del 2015 a Van dove ho portato i saluti dei militanti italiani a più di un milione di persone.
Essere sul palco in quel momento, è stato emozionante anche perché quel giorno, ho conosciuto Demirtas (4), ex co-presidente del partito HDP, (oggi DEM) che purtroppo l’anno successivo è stato arrestato dal governo turco e condannato, dopo 8 anni di detenzione, a 42 anni di carcere.
Durante questi festeggiamenti la tensione è molto alta anche perché solo raramente sono autorizzate. Sovente, infatti, si concludevano con cariche della polizia con lacrimogeni e cannoni ad acqua.
Negli anni successivi andare in Turchia cominciava ad essere difficile, perché alcuni di noi erano stati espulsi. La nostra presenza dava fastidio al governo turco.
Del resto, la nostra presenza in Turchia era seguita dalle televisioni e giornali a cui rilasciavamo delle interviste nelle quali non nascondevamo il nostro appoggio alle rivendicazioni del popolo curdo.
Il Kurdistan Bashur, in Iraq
È infatti dal 2016, che è iniziata la nostra visita in Iraq, nel Kurdistan Bashur. Un luogo dove ho potuto assistere ai numerosi cambiamenti che ci sono stati in tutta quell’area.
Nei primi anni, si atterrava ad Erbil, e poi da lì ci si spostava in varie località, come Makhmour, dove ci si fermava per una notte o due, per poi proseguire per altre destinazioni. Ad esempio, a Kirkuk per incontrare i guerriglieri del HPG (Forze difesa del popolo), Dakuk, Sulaymaniyah, Qandil…
Questo è stato possibile fino al 2018, anno in cui potevamo ancora muoverci abbastanza liberamente, ma non senza pericolo.
All’interno del campo di Makhmour siamo stati 5 giorni ospiti di famiglie, mentre giornalmente ci spostavamo in vari punti strategici. Ad esempio a Suleymaniya, dove ho conosciuto Ciwana e visitato un piccolo campo profugo, entrati senza permesso.
In quel luogo ho conosciuto un’altra splendida realtà: l’emittente televisiva “Jin Tv”. La loro prima trasmissione è avvenuta proprio l’8 marzo 2018.
È una televisione organizzata da donne, per le donne e ha l’obiettivo di rendere visibile qualsiasi lavoro femminile. Dalla casa, dai campi, uffici, strade, ma soprattutto vuole agire in modo da mettere in discussione, il rapporto uomo/donna e l’organizzazione sociale.
La loro sede legale, per sicurezza, si trova in Europa, precisamente in Olanda, mentre gli studi di registrazione si trovano in molte altre città e luoghi diversi, come in Rojava, Istanbul, Diyarbakir. Qui vengono montate le registrazioni e reportage, prima di essere inviati in Olanda. I loro servizio si basano essenzialmente su comuni denominatori: ecologia- libertà per le donne- democrazia.
A Suleymaniya, abbiamo anche visitato “La Prigione Rossa di Saddam Hussein” dove venivano interrogati, torturati e uccisi, dissidenti, studenti e curdi iracheni.
Ci siamo anche recati sulle montagne di Qandil (5), al confine con l’Iran, dove abbiamo di nuovo incontrato il Comandante Riza Altun (6), membro del consiglio esecutivo del KCK (unione delle comunità del Kurdistan) e Fatma Adir, anche lei del Consiglio esecutivo, per fare il punto sulla situazione dei combattimenti in quella zona del paese.
Makhmour un esempio di Confederalismo Democratico
Nel 2019 le cose cambiano. Per tutto il periodo trascorso in Iraq, siamo stati all’interno del campo di Makhmour, senza mai fermarci ad Erbil, perchè diventata troppo pericolosa.
Arrivare è stato un po’ più complicato, causa il severo controllo dei militari iracheni. L’area era passata sotto il controllo del governo centrale iracheno, compreso anche il Campo profughi.
Anche l’Onu, da maggio 2018, ha cessato ogni sostegno alla popolazione del Campo, a causa delle pressioni del governo turco e del Pdk (Partito democratico del Kurdistan di Barzani).
Dal 19 luglio 2019, a causa una sparatoria in un ristorante ad Erbil che aveva causato la morte di un civile, un diplomatico turco e un ferito, per ritorsione aerei turchi avevano bombardato il Campo, provocando 2 feriti.
Erdogan poi, sfruttando questo episodio, aveva fatto pressione sul governo regionale affinché mettesse sotto tale embargo il Campo. L’obiettivo era mettere in difficoltà e limitare il movimento del PKK presente e organo di difesa armata del Campo.
La paura era che il modello di autogestione scelto, basato sui principi del Confederalismo Democratico, potesse influenzare anche gli altri popoli della regione.
L’obiettivo del Confederalismo Democratico è quello di superare il capitalismo e fondare un socialismo che al suo centro, abbia oltre all’equa distribuzione delle risorse, la tutela dell’ambiente e l’emancipazione della donna.
Questo progetto politico si basa infatti su un sistema che parte dal basso per un’autogestione e un’autodeterminazione, volto a superare l’idea di uno Stato centralizzato attraverso la creazione di confederazioni che accettano varie realtà etniche, religiose e politiche.
Le decisioni sono prese all’interno delle comunità, i livelli più alti servono solo per il coordinamento. E’ un paradigma sociale e non statuale. Non è controllato da uno Stato, è un progetto culturale e organizzativo di una nazione democratica. È soprattutto antinazionalista e ha come scopo, la realizzazione dell’auto difesa dei popoli senza mettere in discussione i confini politici esistenti.
Quello è stato l’ultimo anno in cui siamo riusciti ad entrare a Makhmour. Almeno però siamo riusciti ad acquistare e donare una nuova ambulanza.
Shengal: la strage degli Yazidi
Nel viaggio del 2021 eravamo a conoscenza che entrare a Makhmour sarebbe stato molto difficile, nonostante avessimo sul passaporto il visto del Governo centrale di Baghdad. Abbiamo deciso pertanto, con la speranza di aggirare il problema, di partire da Erbil con direzione Shengal e Makhmour.
Per due giorni abbiamo provato ad arrivare a Shengal, senza riuscirci, dopo aver attraversato 23 checkpoint, controllati da diverse milizie. Il terzo giorno, scortati da due funzionari iracheni, siamo riusciti ad arrivare ed incontrare la sua comunità.
Eravamo lì per documentare la situazione di questo popolo, dopo il genocidio subito dall’Isis nel 2014. Un popolo poco conosciuto, ma ricco di storia (7).
Shengal è la regione dove vivono gli ezidi. Non sono musulmani, ma sono seguaci di un culto zoroastriano. Per questo, sono stati sempre discriminati, emarginati e perseguitati, perché considerati come “Adoratori di satana”, per via della loro adorazione dell’Angelo Pavone. Credono nel paradiso e nella reincarnazione. Hanno regole molto rigide, tra queste, il divieto di sposarsi con una persona di un’altra religione, pena l’espulsione diretta dalla comunità. A questa religione non è possibile accedere per conversione, ma si è yazida per diritto di nascita.
Gli Yazidi hanno subito 74 genocidi. L’ultimo nel 2014, da parte di Isis.
E’ stato stimato che in 700 anni di vita di questa comunità, ben 23 milioni di persone siano state uccise per motivi religiosi. Sono stati massacrati dall’Isis, 5.000 vittime e 6.700 donne sono state rapite e vendute come schiave.
Era compito dei peshmerga e dell’esercito iracheno, difendere questo popolo mentre in realtà, sono letteralmente scappati. Solo le milizie armate curde del PKK hanno organizzato una loro difesa, riuscendo ad aprire un corridoio per far fuggire molti di loro, dal massacro. Una gratitudine che gli ezidi, uomini e donne, hanno poi contraccambiato aderendo alle Unità di Difesa delle Donne o in quelle di Protezione Popolare curde.
Tutto è cominciato nel 2015, sulle montagne di Shengal. Da subito si sono organizzate, creando la prima Assemblea delle Donne il cui principio ideologico è:
“Una donna che resiste, esiste”.
Il loro primo insegnamento per non essere più una vittima rispetto al passato è pianificare l’autodifesa ed un’auto-organizzazione. È la donna che deve poter decidere come vivere la propria vita, stabilire d’intraprendere anche un lavoro o interessarsi di politica e temi sociali, non essendo più obbligata ad occuparsi solo della sua famiglia.
Naturalmente, non tutti gli uomini hanno subito accettato questo cambiamento. Cambiare una società non è semplice, occorre molto tempo, specialmente se sono società patriarcali consolidate nel tempo. Innanzitutto, si deve credere in un’ideologia, come per esempio quella insegnata da Ocalan che afferma:
“Finché non si libera la donna, la società non sarà mai libera”.
Il Movimento di libertà delle donne yazide (Taje) si è costituito dopo il massacro dell’Isis, per ridare dignità e speranza al loro popolo e ha il compito di organizzare la formazione. Far comprendere a tutta la comunità il valore della libertà e democrazia, ossia il valore del Confederalismo Democratico.
ll confederalismo democratico è un sistema politico-sociale che si presta alle esigenze della comunità; quindi, può essere diverso a seconda delle circostanze e dei luoghi. Il movimento, in pratica, ha un duplice compito: il primo, verso la donna che deve ritornare ad una vita normale dopo quello che ha vissuto e il secondo, verso la società che la deve accogliere senza nessun pregiudizio.
Il progetto ezida nasce a seguito del massacro del 2014 ed i primi quattro anni successivi sono stati completamente dedicati alla liberazione del territorio.
I loro obiettivi sono: Governare e Organizzare la loro società – Evitare nuovi massacri
Dopo aver lasciato la regione di Shengal, ci è stato vietato categoricamente di entrare al campo di Makhmour. Allora abbiamo deciso e riuscito ad incontrare, sul piazzale del check point, una loro piccola delegazione, a cui abbiamo consegnato medicinali e quanto raccolto in Italia per un comune progetto del Campo.
Maggio 2023: da Baghdad a Shengal
Invece che da Erbil, siamo partiti da Baghdad. A Shengal siamo arrivati, ma a Makhmour, lo stesso risultato: non si entra. Da Baghdad a Shengal, 550 chilometri con il necessario superamento, da Mosul a Shengal, di oltre 20 posti di blocco.
A Khanasor, Centro d’accoglienza, abbiamo saputo che il 20 maggio, il giorno del nostro arrivo, l’esercito iracheno si è presentato in forze al campo di Makhmour con l’intenzione di circondarlo con reti metalliche. La popolazione si è opposta formando una barriera umana davanti al campo. L’area è sotto il controllo del governo centrale iracheno.
Per tutto il periodo che siamo stati in Iraq abbiamo sempre avuto l’intelligence irachena che ci minacciava e chiedeva di lasciare la zona di Shengal e di ritornare a Baghdad. Non parlava di espulsione dal paese, ma solo di andarsene da quei luoghi. Poi con l’aiuto del Partito della libertà e democrazia (il Pade), a cui era affidata la nostra tutela, ospitalità e sicurezza, siamo riusciti a rimanere. In cambio però ci hanno imposto l’obbligo di realizzare ed inviare all’intelligence, ogni tre ore, un video con tutti noi, correlato della segnalazione delle nostre coordinate di posizione.
Durante l’incontro, il Consiglio dell’Autonomia e le Organizzazione delle Donne, ci hanno chiesto l’impegno di convincere i nostri parlamentari e governi, a riconoscere il popolo ezida come vittima di un genocidio. Come del resto aveva già fatto l’Onu, dopo il lavoro svolto dalla Commissione istituita dal Consiglio dei Diritti umani. Un’azione a cui abbiamo dato seguito, il 21 febbraio scorso quando è stata finalmente presentata in Parlamento dall’Onorevole Laura Boldrini, la mozione per il riconoscimento del genocidio ezida del 2014.
Lasciato Shengal, abbiamo di nuovo provato a raggiungere Makhmour con l’aiuto di alcuni abitanti del campo. Dopo aver passato vari ckeck point, siamo arrivati all’ultimo, quello più duro a soli 20km dalla nostra meta. Abbiamo atteso numerose ore. Il verdetto è stato insindacabile: qui non si entra. Vietato entrare, tornate a Bagdad.
A Bagdad, siamo riusciti almeno ad incontrare la delegazione del campo, dove si trovava per trattare con il governo contro la totale chiusura. Un obiettivo per fortuna raggiunto il 5 giugno, concluso con il ritiro dell’esercito iracheno.
Quanto pensiamo alla resistenza del popolo curdo e ciò che da anni subisce, dobbiamo sempre ricordarci le parole di Ocalan:
“La lotta del popolo curdo non è mai stata, né potrà mai essere, contro alcuna razza, religione, setta o gruppo, ma è contro l’oppressione, l’ignoranza, l’ingiustizia, l’arretratezza, e ogni forma di sfruttamento”.
Per questo, la lotta del popolo curdo è la lotta di tutti i popoli del mondo, di tutti gli oppressi.
Abdullah Öcalan, prigioniero da 26 anni sull’isola-prigione di Imrali, non ha mai smesso di cercare una soluzione politica alla questione curda, tracciando più volte il cammino verso una pace giusta. Questa ricerca ha raggiunto nuovamente un momento storico: il 27 febbraio 2025, quando il leader curdo ha di nuovo chiesto e proposto alla Turchia, un percorso verso l’abbandono della lotta armata da parte del PKK, in cambio di un cambiamento politico, per il quale il popolo curdo ha lottato per decenni.
Erdogan riuscirà a cogliere questa occasione?
LINK
1 – https://alkemianews.it/2024/06/14/kurdistan-iraniano-scomparsa-di-warisheh-moradi/
3 – https://versoilkurdistan.blogspot.com/
4 – https://alkemianews.it/2021/01/17/alba_la_luce/
5 – https://alkemianews.it/2019/06/15/kurdistan-bashur-qandil/
7 – https://alkemianews.it/2023/09/02/cinque-donne-ezide-giustizia/