I BAMBINI FARFALLA DI GAZA

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Gaza” non esiste più. Rimane Gaza solo per chi ha vissuto quel luogo o che almeno l’ha visto anche una sola volta. La sua distruzione è il simbolo della malvagità dell’uomo e della sua violenza. Rappresenta la disumanizzazione umana. Nessun rispetto verso persone o cose. Neppure i bambini che rappresentano il nostro futuro ne sono risparmiati, anzi, proprio per questo, devono scomparire!

Gaza era una terra ricca di storia. Era uno dei crocevia più battuti nel Vicino Oriente. Era il centro amministrativo di numerose città mercantili fondate dall’Egitto. Grazie al suolo fertile, era anche un importante centro agricolo chiamato “l’oceano di grano”. Ma la prosperità di Gaza cessa presto, cessa infatti con la Grande Guerra. La città con le campagne circostanti sono devastate dalle battaglie tra gli ottomani e gli inglesi.

L’esercito britannico occupa Gaza il 07 novembre 1917.
Il massiccio afflusso dei profughi palestinesi nel 1948 (La Nakba) fece poi aumentare notevolmente la sua popolazione, modificandone l’aspetto.
Gaza fu così annessa dalla Lega Araba sotto l’amministrazione dell’Egitto. La Cisgiordania invece faceva parte del regno hascemita, senza nessun collegamento diretto tra di loro.

Nel 1956 fu occupata per molti mesi dall’esercito israeliano.

Dopo il 1967, grazie alla seconda occupazione, Cisgiordania e Gaza si unirono per dar luogo alle molte campagne di resistenza, mai cessate fino ad oggi.
Tutto questo fino agli Accordi di Oslo del 1994.
Oslo, di fatto, ha messo le basi per separare la Cisgiordania dalla Striscia di Gaza. Le forze d’occupazione iniziano infatti gradualmente a separare le due entità.
Una fase importante è stata proprio quella del ritiro unilaterale israeliano da Gaza nel 2005. Una strategia d’Israele che lascia così un terzo della popolazione palestinese (1.800.000) al loro destino, separato dagli altri palestinesi. Un modo per impedire di costruire uno Stato palestinese unito.

A Gaza le forze di Hamas nel 2006 vincono le elezioni e l’anno dopo, Gaza viene definita “entità nemica” imponendo così un blocco totale alle importazioni ed esportazioni, ossia un totale embargo, una prigione a cielo aperto, senza sbarre, ma violenta e repressiva.

In una tale situazione, le operazioni militari israeliane diventano sempre più frequenti, cruenti e devastanti.
Ricordiamo infatti le incursioni del 2006, 2007, 2008, 2009, 2012, 2014, 2021 e 2023.

Il genocidio che Gaza sta vivendo ora è il più cruento. Sta andando verso l’eliminazione totale di una parte della popolazione palestinese che, nonostante tutto, continua a resistere nella sua dignità di popolo che lotta per la sua libertà, giustizia e autodeterminazione.

L’occupazione e il colonialismo non possono vincere. Non si può permettere!

In questi 9 mesi di violenze, il numero dei bambini uccisi dalle bombe, dalla fame, dalla sete e dalle malattie è altissimo, si parla di oltre 15.000 bambini!
A Gaza nessun posto è sicuro, c’è solo devastazione, malattia e morte.

In questo scenario apocalittico, la mente, i ricordi vanno verso i “bambini farfalla “ di Gaza. Se la vita in queste condizioni è difficilissima, per questi bambini è ancora più traumatica.

Chi sono i Bambini Farfalla?
Sono bambini affetti da una dolorosa patologia genetica rara che si manifesta a livello cutaneo, chiamata in termine medico: Epidermolisi Bollosa.

Gianna Pasini, infermiera di Brescia, per circa dieci anni si è recata a Gaza per sostenere ed aiutare questi bambini.
L’AntiDiplomatico ha raccolto la sua storia, di grandissima sensibilità e di profonda forza umana. Gianna ha visto il primo bambino farfalla nel 2011 e da allora ogni anno andava a Gaza per un mese per offrire aiuto ed assistenza(1)

Chi nasce con questa rara patologia genetica, l’Epidermolise Bollosa, manifesta eruzioni cutanee su tutto il corpo, vere e proprie bolle dolorose come ustioni. Quando si rompono o vengono incise chirurgicamente, creano delle lesioni più o meno profonde e quando si cicatrizzano vanno a sovrapporsi. Questi bambini sentono dolore anche se sfiorati, per questa loro fragilità vengono chiamati “bambini farfalla”. A volte queste bolle si formano anche nelle mucose e nella laringe creando problemi alla deglutizione e all’alimentazione. E, a volte causa anche problemi respiratori ed occorre intervenire con l’endoscopia. Un’altra conseguenza è l’anemia perché possono perdere molto sangue dalle lesioni. La malattia si presenta in forme più o meno gravi: la forma cosiddetta simplex si limita all’insorgenza di bolle, le forme invece più gravi compromettono anche l’apparato scheletrico, che comporta difficoltà a deambulare. In alcuni casi le conseguenze possono portare anche alla morte.
La malattia è già evidente subito dopo il parto.
Si tratta di una patologia che ha maggiore incidenza dove c’è poco ricambio genetico, quindi in quelle aree dove si concepiscono figli tra parenti, spesso fra cugini. Questo può avvenire talvolta per ragioni culturali e religiose, ma soprattutto per ragioni sociali dovute all’embargo a cui è sottoposta la Striscia di Gaza dal 2006, da quando Hamas venne eletto in seguito ad elezioni politiche.
Non è certo facile  in una prigione a cielo aperto, dove a causa dell’embargo la circolazione è limitata all’interno della Striscia. Si lotta per poter accedere alla pesca, all’agricoltura, al lavoro e alla sanità. La diagnosi prenatale è possibile sul DNA fetale estratto da cellule del liquido amniotico, solo quando il gene-malattia è noto o sono state identificate le mutazioni patogenetiche. Questo naturalmente è praticamente impossibile in una realtà come quella di Gaza. Purtroppo a Gaza, essendo l’acqua e l’energia elettrica razionalizzate dagli occupanti israeliani, prendersi cura di questi bambini è veramente un’impresa. Le cure si possono apportare sia in ospedale sia in casa.

Si dovrebbe fare quotidianamente un bagno per mantenere buone condizioni igieniche e non causare infezioni alle bolle e alle ferite, paragonabili ad ustioni, che ne derivano. Se la lesione non è aperta bisogna applicare vaselina e bendaggio così da poter vestire il bambino. Alla presenza d’infezioni in corso si mettono pomate antibiotiche o bagni disinfettanti specifici. Mentre se si presentano sintomi di inappetenza o vomito significa che ci sono problemi all’esofago e la situazione richiede cure ospedaliere. Questi bambini devono studiare da casa o in scuole che hanno pochi allievi perché occorre stare attenti a sfregamenti e contatti per loro troppo irruenti. Proteggere il bambino dalla sofferenza e mantenere alta il più possibile la qualità della sua vita è l’obiettivo che si cerca di portare avanti. Attualmente per la malattia non c’è purtroppo nessun farmaco o trattamento che porti alla guarigione. Inoltre non tutti i bambini vivono a lungo”.

L’ultima missione di Gianna è stata nel novembre 2019, poi c’è stata la crisi pandemica e da quel momento, non ha più potuto recarsi a Gaza anche perché Israele aveva sbarrato ogni confine.  Ma non ha mai perso i contatti con i “bambini farfalla” di Gaza, nemmeno in questi terribili mesi  perché  alcune famiglie l’hanno contattata sui social, purtroppo di altri non ha più notizie. 

 A Gaza c’erano anche adulti affetti da Epidermolisi Bollosa ma per la mancanza di risorse e personale hanno dovuto scegliere di occuparsi solo dei piccoli. Una scelta tragica.
Oggi, con le devastazioni in atto causate dall’esercito israeliano di terra, oltre alle bombe via cielo e mare, è difficile dire com’è la situazione di questi bambini.
I “bimbi farfalla” che venivano seguiti con questo progetto di cure erano 25.

Gianna ha dato voce a questa sua lunga esperienza con i “bambini farfalla” raccontando la sua storia e quella dei bambini e delle loro famiglie conosciute nel tempo, nel libro “Storia di una bambina farfalla di Gaza” (Edizioni Q).

Un libro, tradotto anche in arabo, illustrato dal disegnatore Fogliazza, nato per testimoniare una realtà poco conosciuta e per raccogliere fondi per continuare il progetto in atto, in un periodo che causa la pandemia Covid non si poteva essere presenti fisicamente.

Leggere questi racconti di vita fanno capire quanto sia importante donare un po’ del nostro tempo a queste tragiche situazioni affinché il mondo sappia.
L’impegno quindi di tutte queste/i volontarie/i sui vari scenari di guerra è importantissimo perché porta alla luce condizioni particolari che normalmente restano invece nell’ombra delle conoscenze.

Oggi per questa malattia rara c’è una speranza.
Sono nate infatti alcune associazioni di medici e ricercatori con l’obiettivo di promuovere la ricerca e la cura dell’Epidermolisi Bollosa.
Sempre grazie alla testimonianza di Gianna, si è potuto conoscere il lavoro di queste organizzazioni: PCRF-Italia Odv, Pro Terra Sancta e le Ali di Camilla.

PCRF-Italia è un’organizzazione di volontariato e onlus, costituita a Marina di Pietrasanta (LU) a luglio 2013, attraverso le relazioni tra PCRF e medici toscani già impegnati come volontari in Palestina, che esprime i valori di Palestine Children’s Relief Fund fondata negli Stati Uniti nel 1992.

Indipendente da qualsiasi formazione politica o religiosa, il PCRF-Italia, si impegna a fornire assistenza umanitaria ai bambini del Medio oriente in stato di bisogno e in situazioni di marginalità.

Per migliorare la qualità dei servizi sanitari pubblici in Palestina, tra le varie forme di missioni ed azioni, tra i programmi del PCRF-Italia, c’è anche la cura domiciliare ed il sostegno alle famiglie dei bambini portatori di Epidermolisi Bollosa nella Striscia di Gaza(2).

Pro Terra Sancta è un network che promuove e realizza progetti di conservazione e valorizzazione del patrimonio culturale e naturale, di sostegno alle comunità locali e di aiuto nelle emergenze umanitarie in Terra Santa.

A Gaza, oggi si parla la lingua della violenza e della disperazione. Ogni necessità sembra superflua quando manca il cibo, l’acqua e l’assistenza sanitaria. I primi ad essere dimenticati sono proprio coloro che di necessità ne hanno troppe, come, “i bambini farfalla”.

Pro Terra Sancta è impegnata da tempo nel supporto di questi bambini, cercando di aiutarli a sopravvivere in un mondo ostile, dove ogni contatto con l’esterno può diventare una trappola mortale(3).

Le ali di Camilla è un’associazione no profit fondata a Modena il 22/07/2019 da ricercatori, clinici, pazienti e familiari per promuovere la ricerca e la cura dell’Epidermolisi Bollosa e di altre malattie rare trattabili con terapie avanzate a base di cellule staminali epiteliali.

Camilla è il nome di due piccole bambine farfalla, entrambe nate a dicembre 2017 e volate via nel 2018 che sono state seguite a Modena fin dalla loro nascita.
Camilla è anche il nome di una farfalla, simbolo del logo dell’associazione.

Le ali di Camilla supporta i pazienti nella gestione quotidiana della malattia attraverso progetti che possono migliorare la qualità della loro vita e favorire l’integrazione scolastica e sociale(4.)

Il 15 luglio scorso, Gianna invia un appello di un bambino farfalla di Gaza, il bambini F che chiede aiuto:

 Mi chiamo F. e sono un “bambino farfalla” con una malattia che si chiama Epidermolisi bollosa. Vivevo al nord della Striscia di Gaza con la mia numerosa famiglia e ricevevo le cure per le mie ferite causate dalle bolle, grazie a un progetto costruito su misura per i bambini come me, da amici italiani.
Quando venivano a trovarmi nella mia casa mi portavano tutto quello che serviva per curare le mie ferite, ma anche qualche gioco e cose buone da mangiare.
Le scarpe che indosso nella fotografia sono costruite su misura dei miei piedi con le bolle e non mi facevano male quando camminavo perché erano morbide e della giusta taglia.
Ora da oltre nove mesi è tutto cambiato perché viviamo sotto bombardamenti continui, i confini sono chiusi e non possono entrare le persone ma nemmeno le cose che ci servono per mangiare e le medicine per curarci.
Manca anche l’acqua potabile per bere ma anche per cucinare. Inoltre senza acqua è difficile tenere pulite le mie ferite e cambiare le medicazioni tutti i giorni.
L’unica cosa che non scarseggia sono le bombe e i soldati con i loro fucili ed i carri armati che distruggono le nostre case e le nostre famiglie.
È stato molto complicato trasferirmi al sud verso Rafah, come era stato imposto dai militari a tutta la popolazione della Striscia di Gaza con dei fogliettini caduti dal cielo, perchè ora non riesco più nemmeno a camminare. Inoltre i soldati avevano sparato addosso all’ambulanza che era venuta a prendermi ed è così passato molto tempo prima di riuscire ad arrivare al confine con l’Egitto.
Ma in tutti questi mesi il mio corpo si è indebolito sempre più, perché non riuscivo ad avere il cibo tutti i giorni e nemmeno l’acqua da bere ed anche le mie ferite sono molto peggiorate al punto che mio padre mi ha fatto ricoverare in ospedale.
Chiedo aiuto a tutti voi che potete fare qualcosa per i bambini come me che sono malati e fragili, e ogni giorno rischiano di morire sotto le bombe.
Ogni bambino dovrebbe avere il diritto di poter mangiare e bere per riuscire a crescere e diventare grandi e forti.
Io invece sono qui in questo letto, soffro molto e non ho più nemmeno la forza di alzarmi…”

Purtroppo, quasi nello stesso momento in cui è arrivato quest’appello, è giunta la triste notizia che il bambino F,  Fayeq, non ce l’ha fatta.
Fayeq era un bambino che ha sofferto molto, oltre che per la sua patologia, anche per una situazione familiare disagiata.
Gianna n
on ha mai capito quante persone vivessero in quella casa-cortile, quanti fossero i suoi fratelli in quella moltitudine di bambini sempre presenti e quale fosse sua madre. Si prendeva cura di lui una nonna che lo accompagnava anche nei suoi percorsi di salute.
Ora riposa in pace e non soffre più. Non si sa se attribuire questa sua breve e sofferta vita alla sua patologia o alle contingenze attuali.

Gianna ha espresso il rammarico di non poter più donargli un po’ di sollievo e strappargli dei sorrisi. Lo vuole ricordare con quei sorrisi che le faceva quando ancora poteva farlo. Era nato nel 2009 e, purtroppo la malattia non lo ha fatto crescere come avrebbe dovuto.

In occasione del suo primo viaggio a Gaza nel 2011, Gianna ha avuto anche l’opportunità di conoscere Daniela Riva, una cooperante dell’Ong italiana Gvc, che ha vissuto a Gaza per lungo tempo, una persona speciale che le ha fatto conoscere la realtà dei bambini farfalla. Questo è stato solo l’inizio. Da quel momento Gianna è sempre tornata a Gaza ogni anno per visitare questi bambini e le loro famiglie.
Un’altra figura chiave è Isshaq, un collaboratore locale, un ragazzo affetto in modo lieve dalla malattia, che le aiutava a livello logistico a prestare assistenza ai bambini e alle loro famiglie, e che lo faceva anche in loro assenza.

I padri di tre minori di Gaza hanno contattato, tramite social network, proprio Gianna per chiedere aiuto. Immediatamente si è messo in moto un grande gruppo di solidarietà femminile che, dopo aver raccolto tutti i dati necessari, si sono rivolte al PCRF Italia (Palestine children’s relief fund), in particolare a Martina Luisi, la coordinatrice nazionale e all’Associazione Le ali di Camilla di Modena. Inoltre, sono stati anche coinvolti la Farnesina ed altri numerosi soggetti internazionali e nazionali. I problemi maggiori erano due. Uno era dato dal fatto che i bambini si trovavano nel Nord della Striscia e per questo risultava molto difficile riuscire a farli spostare. L’altro era dovuto alla questione degli accompagnatori che dovevano essere accettati da Israele. Tutto questo ha prolungato l’attesa di molti mesi per poter uscire dalla Striscia.

Fayeq, il cui padre si è indebitato per procurargli le medicine, sembra ricoperto di uno strato di pellicola e si può spostare solo con la nonna, che è anziana ma, questa volta, Israele non dà l’autorizzazione. Mahmoud, sette anni e con i piedi deformati dalle lesioni, può essere accompagnato dalla sorella, tra mille difficoltà, perché la madre non può lasciare la Striscia, dovendosi prendere cura degli altri figli.
Elham, infine, sei anni, tagli e sangue vivo, si trovava nel centro della Striscia e anche suo padre ha speso tutto quello che aveva.

Dopo mesi di stallo e anche con l’aggravarsi della salute dei bambini, è dovuta intervenire l’OMS (Organizzazione mondiale della sanità) per portarli a Rafah. Ma il valico da maggio è chiuso e i bambini sono quindi sempre lì in attesa di poter uscire e volare in Italia.
Il Policlinico di Modena è pronto per accogliere i due bambini rimasti in vita.

Manca solo l’ultimo miglio -dice Stefania Bettinelli, presidente de Le ali di Camilla-. Abbiamo bisogno che qualcuno li faccia uscire e arrivare in Egitto e da lì è tutto pronto per accoglierli a Modena, al Policlinico, che in questo ambito è un centro d’eccellenza e che ha dato la propria disponibilità, come la Regione e altre associazioni locali”.

.Restiamo quindi in attesa di accogliere Mahmoud e Elham con i loro accompagnatori per potergli donare un po’ di pace dopo aver vissuto tanta sofferenza.