GUERRA A GAZA: LA VENDETTA D’ISRAELE

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Non può che preoccupare la guerra a Gaza e la vendetta scatenata da Israele. Soprattutto per come vengono riportate le notizie dalla nostra stampa nazionale.
Questo è un problema che si ripete ogni volta in cui “raccontare” i fatti, non dovrebbe essere fatto accettando acriticamente la linea politica tracciata dagli Stati protagonisti. Al contrario, invece, l’informazione dovrebbe essere libera e indipendente, con l’obiettivo di aiutare a comprendere, contestualizzando il momento.

Sto pensando a tutti quelli che non conoscono la questione palestinese. Cosa mai possono comprendere seguendo solo le notizie spacciate da una TV, schierata quasi totalmente dalla parte israeliana?
L’opinione pubblica come può intendere il reale contesto della situazione?
Questa non è una gara a chi arriva primo e vince, qui in gioco ci sono vite umane innocenti da salvaguardare e rispettare da entrambe le parti.

La diretta che si assiste è scioccante – sono le parole usate, durante un’intervista, dalla Dott.ssa Francesca Albanese, relatrice speciale Onu per i Territori occupati palestinesi dal 1967- quello che è successo, è stato un elemento di grande sorpresa, soprattutto la violenza che si è abbattuta sui civili israeliani è senza precedenti, quindi, esprimo il mio cordoglio a tutti gli israeliani e palestinesi che stanno contando i morti; ma il contesto è fondamentale, è un contesto di occupazione militare violenta che si esercita da 56 anni con l’avanzamento delle colonie. Questo è fondamentale per capire la violenza che si è scatenata negli ultimi giorni”.

La questione Gaza, infatti, viene spiegata solo dipingendo il movimento di Hamas, come l’unico responsabile. Un mostro, il male assoluto, che lotta contro il bene, contro Israele, che è nel giusto e ha solo il diritto di difendersi.
Le cose però non sono affatto così.

Non si vuole assolutamente difendere Hamas, ma parlare ed enfatizzare della sua brutalità non risolve il problema. Non è di nessuna utilità, mettere a confronto le violenze barbariche di Hamas e quelle perpetrate da anni da Israele.
In tutto questo, la Comunità internazionale, avrebbe avuto e ha un ruolo molto importante. Sarebbe stato opportuno ricordare (1) anche tutte le violenze e i massacri, volutamente sempre ignorati e dimenticati, messi in atto dal governo d’Israele dal 1947 ad oggi.
Israele è sempre stato al di sopra di ogni contestazione, non ha mai rispettato nessuna risoluzione Onu e non è mai stato giudicato. Ricordiamo il Massacro di Sabra e Chatila, Tell el Zaatar, Deir Yassin e tutte le varie incursione in Cisgiordania e Gaza. Luoghi che i nostri intellettuali e politici hanno gravemente dimenticato.

Tutta la guerra è orrore. La nostra civiltà non è meglio rispetto a tante altre. Crociate, guerre di religione, colonialismo, neo colonialismo, guerre di esportazione della democrazia, Julian Assange… I crimini dell’occidente sono noti a chiunque abbia letto un libro di storia”. Queste sono le parole della Dott.ssa Elena Basile, scrittrice ed ex ambasciatrice italiana, scritte sul “Il Fatto Quotidiano”
Il terrorismo è un fenomeno storico – continua l’Ambasciatrice Le violenze terroriste nascono quando i canali politici si chiudono e diventano impraticabili. La sproporzione delle armi tra Hamas e Israele è evidente, eppure il Quintetto si riunisce per testimoniare solidarietà ad Israele con l’invio di nuove armi. Gaza soffoca. Il dilemma degli analisti occidentali è il seguente: come sbarazzarsi una volta per tutte di Hamas e salvare gli ostaggi israeliani? Non contano i bambini, i civili, le donne e gli anziani che muoiono a Gaza? Reprimere Hamas nel sangue farà rinascere altri gruppi terroristici: il sangue chiama sangue”.
Israele se vuole veramente salvarsi e vivere in pace deve rimuovere le cause del conflitto in atto, con mediazioni che tengono conto dei diritti di entrambe le parti”.

Il governo israeliano sembra in questi giorni che abbia dichiarato guerra a Gaza, e al popolo palestinese, ma in realtà, la guerra contro i palestinesi non si è mai conclusa ed è iniziata più di 75 anni fa. 75 anni di dolore, di massacri, di Resistenza.

LA STORIA COME SPECCHIO DELLA VERITÀ

  • Nel XX secolo scorso, con gli accordi Sykes-Picot del 1916, la Francia e la Gran Bretagna si spartiscono il Medio Oriente. La prima occupa la Siria e il Libano, mentre la seconda, la Giordania e l’Iraq. La Palestina invece, doveva avere uno status internazionale.

  • Lord Balfour a nome di Sua Maestà Britannica invia il 02 novembre 1917 a Lord Rothschild, per la federazione sionista, una lettera in cui dichiara che la Gran Bretagna “vede con favore lo stabilirsi in Palestina di un focolare nazionale per il popolo ebraico…”.

Al momento della dichiarazione, la popolazione totale della Palestina era di circa 700.000 unità: 574.000 musulmani, 74.000 cristiani e 56.000 ebrei.

  • Nel 1917/1918 le truppe inglesi conquistano la Palestina.

  • Nel 1929 viene costituita l’Agenzia Ebraica al fine di favorire l’immigrazione e la formazione di colonie ebraiche in Palestina.

  • Dal 1880 al 1929 gli ebrei immigrati in Palestina sono 120.000 su circa 4 milioni di ebrei fuggiti dall’Europa centro orientale.

  • 1939/45 in Europa inizia lo sterminio sistematico degli ebrei ad opera dei nazisti. L’Agenzia Ebraica organizza l’immigrazione clandestina in Palestina respingendo le limitazioni imposte dal “Libro Bianco” britannico del ’39.

  • Il 29 settembre 1947 La Gran Bretagna rimette il proprio mandato sulla Palestina alle Nazioni Unite.

  • Il 29 novembre, le Nazioni Uniti approvano la Risoluzione 181 che prevede la divisione della Palestina in tre parti:
    – uno stato ebraico sul 56% del territorio
    – uno stato palestinese
    – una zona internazionale che comprenda Gerusalemme e Betlemme.
    – Il confine tracciato viene definito “Linea Verde”.
    La comunità araba rifiutò di accettare la Risoluzione e la violenza si intensificò.

  • Nei primi mesi del 1948. gruppi armati israeliani muovono una violenta offensiva contro la popolazione palestinese con l’obiettivo di realizzarne l’espulsione dalle loro terre. Nasce così l’esercito di liberazione della Palestina, composto da cinquemila volontari tra cui anche iracheni ed egiziani.

  • A Deir Yassin, il 9 aprile sulla strada di Gerusalemme, un commando dell’IRGUN, diretto da Menachem Begin, uccide 254 persone, in buona parte bambini e vecchi.

  • L’11 maggio residenti palestinesi di Lydda sono deportati a Ramallah. È la marcia della morte, con numerose vittime. Le deportazioni di massa e l’esodo proseguono a catena.

  • Il 14 maggio David Ben Gurion, a Tel Aviv, proclama la nascita dello stato d’Israele, riconosciuto immediatamente da Stati Uniti, URSS ed altri paesi.

  • Al termine di questi eventi, gli israeliani controllano, non più il 56%, ma bensì, il 77% del territorio.
    Gerusalemme viene divisa tra Israele e Giordania: la Città Vecchia con la parte est passa sotto il controllo della Giordania, mentre la parte occidentale e quella meridionale sono sotto Israele. 150.000 palestinesi continuano a vivere in Israele, praticamente senza diritti e sottoposti a regime militare.

  • Nasce anche l’esercito di Israele “Tsahal”, chiamato Forza di Difesa d’Israele (IDF), che incorpora tutte le organizzazioni sioniste paramilitari.

  • Essendo la comunità palestinese priva di una leadership effettiva, la risposta alla fondazione di Israele venne dalla Lega Araba fondata nel 1945.
    Il 15 maggio 1948 Transgiordania, Iraq, Siria, Egitto e Libano invasero la Palestina per affrontare Israele. La guerra si concluse nel dicembre 1949 con la netta sconfitta della fazione araba e un allargamento delle zone occupate da Israele rispetto a quanto definito dall’ONU. Tale fu l’impatto della sconfitta nel mondo arabo che da allora il ’48 è ricordato come la Nakba da un testo di un filosofo siriano, Constantin Zurayq, Ma’na al-Nakba“, “Il significato della catastrofe”. Ma soprattutto il conflitto si lasciò dietro 800.000 rifugiati palestinesi che non poterono più far ritorno alle proprie abitazioni.

  • Le Nazioni Unite l’11 dicembre votano la Risoluzione 194 che chiede il ritorno a casa, o un indennizzo, per i quasi 800.000 palestinesi espulsi dalle loro terre.

  • Nel 1949 nacque l’UNRWA, l’ente delle Nazioni Unite che ancora oggi si occupa dei rifugiati, proprio per monitorare e assistere le condizioni di vita nei campi profughi palestinesi che proliferarono nei Paesi confinanti.

  • La guerra continua fino ad arrivare al 1967, la Guerra dei 6 giorni.
    L
    e forze israeliane occuparono Gaza e il Sinai a danno dell’Egitto; la Cisgiordania e la parte araba di Gerusalemme a danno della Giordania e le alture del Golan a danno della Siria.

ISRAELE STATO DEMOCRATICO
Una pericolosa continuità di guerra e dominio sorregge lo stato di Israele. Era diventato una potenza occupante. Un’occupazione militare violenta esercitata da 56 anni anche attraverso l’avanzamento indiscriminato delle colonie e la costruzione del muro dell’apartheid.
Per trovare una soluzione a questo conflitto coloniale, a queste barbarie, bisogna partire da qui, e non utilizzare in modo strumentale la condannabile violenza di Hamas.
Questo perchè la radice di tutto, è l’occupazione illegale israeliana che dura da 75anni, il blocco illegale di Gaza che continua da 17 anni e il mantenimento di uno Stato di Apartheid. Il tutto esercitato impunemente con la complicità degli Stati Uniti.

Israele, anche sul piano giuridico ha scelto di non essere, uno Stato democratico.
Il Parlamento israeliano ha infatti, approvato una legge sullo Stato Nazione che definisce Israele “La patria storica del popolo ebraico”. E se si definisce per legge questo, significa che in quello Stato, considerato la “patria di tutti gli ebrei” possono oggi vivere a pari diritti solo i cittadini di religione ebraica. Ovvero una nazione teocratica dove non esiste uguaglianza nè rispetto delle minoranze.

Un deputato comunista israeliano, Ofer Cassif, in un’intervista rilasciata il 9 ottobre, dopo aver saputo della morte di alcuni suoi amici in Israele, ha detto che:

Persone innocenti, civili innocenti di entrambe le parti, israeliani e palestinesi, pagano il prezzo dell’occupazione arrogante e criminale a cui Israele rifiuta di porre fine.
Niente, assolutamente niente, giustifica, può giustificare o legittimare la carneficina che Hamas ha compiuto nelle città, nei kibbutz e nei villaggi del sud di Israele. Niente può giustificarlo. E nemmeno i crimini di occupazione, i crimini di cui Israele è colpevole, l’apartheid, la pulizia etnica e la Nakba, possono giustificare tale carneficina. Allo stesso tempo, niente, e assolutamente niente, può giustificare il massacro che gli israeliani stanno compiendo adesso a Gaza, nemmeno i crimini di Hamas…
I palestinesi meritano i loro diritti. Meritano i loro diritti nazionali e individuali. ..Gli israeliani meritano pace e sicurezza. Meritano di vivere in uno Stato che non occupa, che non opprime, uno Stato il cui governo non sia fascista e razzista… E vorrei concludere, se posso, dicendo, inquadrando e spiegando tutta la questione in una cornice politica. Israele voleva questa violenza.
Nel 2017, Smotrich, che all’epoca era un membro della Knesset, ma al momento, purtroppo questo delinquente razzista è ministro delle Finanze e anche ministro del Ministero della Difesa, ha pubblicato sei anni fa il “Piano di sottomissione”, che si riduce a tre punti.

  1. I territori occupati palestinesi dovrebbero essere annessi a Israele, senza concedere i diritti fondamentali ai palestinesi.

  2. I palestinesi che non accettano di vivere sotto questa sottomissione saranno espulsi dalla loro patria.

  3. I palestinesi che resisteranno saranno uccisi.

Quello che vediamo ora, e il colpo di Stato che il governo di Israele ha messo in atto all’interno di Israele, sono tutti mezzi per raggiungere questo l’obiettivo. L’obiettivo è realizzare questo orribile piano razzista, colonialista e fascista di Smotrich. E l’attacco a Gaza ne fa parte..
Tutti gli amanti della pace, palestinesi e israeliani, arabi, ebrei e la comunità internazionale, devono stare insieme e unire le forze per dire a Israele: “Poni fine all’occupazione ora. Devi porre fine all’occupazione. I palestinesi devono essere liberati. Perchè la liberazione del popolo palestinese è una causa giusta e libererà anche gli israeliani dall’occupazione…”

Dovrebbe anche essere denunciato e contestato dalla comunità internazionale il grave ed offensivo linguaggio usato dal Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu e del suo governo, che infiamma ulteriormente le tensioni, aggrava la crisi e disumanizza i palestinesi.
La comunità internazionale ha un ruolo molto importante in tutto questo, ma al momento chiude gli occhi. Dovrebbe invece sentirsi responsabile, perché ha fatto finta di niente e permesso ad Israele la libertà di fare qualsiasi cosa in spregio alle leggi internazionali.

Il popolo palestinese vuole solo la fine dell’occupazione coloniale israeliana e il riconoscimento del diritto internazionale.

GAZA TERRA RICCA DI STORIA.
Era un importante centro agricolo, chiamato “oceano di grano”, ma la sua prosperità cessa con la prima guerra mondiale.

Il 07/11/1911, l’esercito britannico occupa la città.

Il massiccio afflusso dei profughi palestinesi del 1948 (Nakba) fece poi aumentare il modo vertiginoso il numero dei suoi abitanti e Gaza fu annessa, dalla Lega araba, all’amministrazione militare dell’Egitto.

Gaza fu di nuovo occupata nel 1956 per molti mesi dall’esercito israeliano e con la seconda occupazione del 1967 si moltiplicarono le campagne di resistenza, sino ad oggi mai cessate.

Gaza non è sempre stata quella conosciuta da noi oggi. Da sempre regione contesa. Il suo popolo è sempre stato un popolo guerriero, coraggioso, leale che non si è mai completamente sottomesso agli israeliani.

Prima della spartizione della Palestina (29 novembre 1947) era abitata da beduini e da ricchi palestinesi che vivevano a Gerusalemme o a Ramallah e i suoi confini arrivavano fino a Beersheba. Era una regione con tante province. Oggi invece è una Striscia di terra abitata principalmente da profughi. Una prigione a cielo aperto, sotto la completa sorveglianza d’Israele.

Gli accordi di Oslo del 1994, avevano messo le basi per separare, di fatto, la Cisgiordania dalla Striscia di Gaza. Nel trattato di Oslo non è scritto che sono territori occupati, ma dice che la Cisgiordania e Gaza sono un’entità geografica regionale unita. Un principio che le forze d’occupazione non hanno rispettato e, al contrario, avevano invece gradualmente cominciato a separare.

Quando nel 2005, l’allora Primo Ministro Ariel Sharon, ritenne che rimanere in quel territorio non fosse più nell’interesse di Israele, dispose il ritiro unilaterale degli insediamenti, chiamato il “disimpegno” e quindi il trasferimento dei loro abitanti. In quel momento, erano presenti nella Striscia, 21 colonie con 8.500 cittadini israeliani, che per la loro sicurezza, lo Stato israeliano pagava ingenti cifre. Per mettere in pratica questo piano, fu previsto un dispiegamento dell’esercito israeliano intorno alla città, per controllare tutti gli ingressi. In questo modo il controllo di questo piccolo pezzo di territorio fu totale su cielo, terra e mare.
Il ritiro dell’esercito israeliano fu la conclusione di un processo molto dibattuto e faticoso. Le conseguenze furono enormi e per anni hanno condizionato e condizionano la vita all’interno della Striscia.
Abbandonare Gaza avrebbe permesso di concentrare le proprie attenzioni e risorse verso la Cisgiordania, dove si trovavano la maggior parte delle colonie ed anche di dividere il governo dei due territori per indebolire la classe politica.
Un passo strategico per Israele che lascia così un terzo della popolazione palestinese al suo destino, separato dagli altri palestinesi.
Un metodo strategico spacciato come concessione di libertà ma in realtà usato per impedire la costruzione di uno Stato palestinese unito composto da Cisgiordania, Gerusalemme e Gaza.
In questo modo Israele riusciva a raggiungere anche un altro obiettivo: spingere Gaza verso l’Egitto ed incrementare la colonizzazione. Non a caso ancora oggi Gaza continua ad essere dipendente da Israele per acqua, elettricità, comunicazioni ed altri servizi, confermati, come diritto di Israele, anche in questi giorni d’assedio. L’operazione “disimpegno” costò allo stato israeliano circa 3 milioni di dollari.

Nel gennaio 2006 l’Autorità Palestinese organizzò nella Striscia di Gaza delle elezioni legislative. Le vinse il movimento radicale Hamas sia per il continuo acuirsi dell’oppressione israeliana ed anche per la crescente corruzione dell’Autorità Nazionale Palestinese.
I risultati delle elezioni del 2006 lasciano poco spazio a dubbi o interpretazioni: Hamas, che aveva boicottato le precedenti elezioni del 1996, conquista 76 seggi su 132 lasciando ad Al-Fatah e all’uscente presidente Abu Mazen appena 43 seggi.
Le prime dichiarazioni rilasciate dai vertici dell’organizzazione parlano di un vento di cambiamento, di resistenza all’occupazione israeliana e di ampia riforma dell’ANP: Hamas si impegna a rispettare il cessate il fuoco ma non riconsegnerà le armi, e si concentrerà innanzitutto sul miglioramento delle condizioni di vita dei palestinesi.
Le reazioni al risultato delle elezioni in Palestina non tardano ad arrivare: se da una parte tutte le potenze occidentali rifiutano di riconoscere la liceità delle elezioni e la legittimità del governo di Hamas, il presidente americano George W. Bush in una conferenza stampa alla Casa Bianca arriva addirittura a chiedere ad Abu Mazen di “restare al potere, anche se ha perso”.

E’ per questo che Gaza non può essere considerata come una questione separata dalla Palestina. Non può e non deve diventare “il problema palestinese”, ma parte di essa.

Per descrivere la situazione in cui vivono i gazawi, come il Comitato “Per non Dimenticare Sabra e Chatila” ha potuto constatare nel suo viaggio a Gaza (2) nel 2014, è sufficiente raccontare le due condizioni di vita che coinvolgono le loro attività principali: la pesca e l’agricoltura.

Su una superficie di 360 kmq vivono oltre 2.000.000 di persone, di cui il 73% sono profughi. Mentre prima i pescatori erano 6.000 ora ne sono rimasti solo la metà.
E’ una professione molto difficile e la loro sofferenza è dovuta soprattutto all’occupazione israeliana e alle sue dirette conseguenze. Secondo gli accordi di Oslo, le miglia nautiche a disposizione dei pescatori dovevano essere 20, ma poi l’occupazione le ha ridotte a 12 e successivamente e gradatamente, durante l’intifada del 2000, a 10 poi a 8 e 6 fino ad arrivare oggi a 3 miglia. Una distanza non sufficiente ad un pescatore per poter vivere. Nonostante queste limitazioni, le aggressioni israeliane sono continue, non solo con scontri a fuoco, ma anche con l’uso di lancia razzi ed il sequestro, spesso non motivato, delle barche.

Anche a Gaza c’è il muro, un muro che la divide dagli altri territori palestinesi. Un muro che rende tangibile questa separazione, un muro che la società civile democratica come quella europea e quella internazionale non dovrebbe permettere.

Gli accordi di Oslo stabiliscono una zona cuscinetto al confine di Gaza con Israele, su terra palestinese, per una distanza di 50metri. Prima era un’area agricola ricca di ulivi, arance, limoni destinati all’esportazione, oggi, invece, è diventata un campo di morte con filo spinato, torrette d’avvistamento, palloni sonda e soldati pronti a sparare.
Dopo la seconda intifada, nel 2000, Israele decide di aumentare la distanza, portandola a 150 metri, tagliano tutti gli alberi alti oltre un metro.
Dopo Piombo Fuso, la zona cuscinetto è arrivata ad una profondità di oltre 300 metri.
Le incursioni militari di terra, con carri armati e bulldozer hanno sradicato sempre più alberi e distrutto serre devastando il territorio in modo che oggi non è più possibile ricostruire un’area agricola.
Nel 2014 la zona cuscinetto è arrivata ad oltre un chilometro e oltre il 30% della terra agricola di Gaza è stata ulteriormente rubata da Israele.

Il giornalista francese specialista del Medio Oriente, Alain Gresh, che il “Comitato Per non dimenticare Sabra e Chatila” ha incontrato nel 2012 in Libano, in un articolo dal titolo “Gaza-Palestina. Il diritto di resistere all’oppressione”, (3) dichiara che:

Se mettere fine all’occupazione del Sinai egiziano e del Golan siriano nel 1973 era legittimo, è forse illegittimo, cinquant’anni dopo, il desiderio dei palestinesi di liberarsi dell’occupazione israeliana?…Ogni volta che i palestinesi si ribellano, l’Occidente, così pronto ad esaltare la resistenza degli ucraini, invoca il terrorismo. Così, il presidente Emmanuel Macron “ha condannato fermamente gli attacchi terroristici che stanno attualmente colpendo Israele” , senza dire una parola sull’occupazione permanente che è la vera molla della violenza…Suonano ancora profetiche le parole del generale de Gaulle dopo l’aggressione israeliana del giugno ‘67: oggi, Israele organizza, sui territori conquistati, un’occupazione che non può essere portata avanti senza oppressione, repressione, espulsioni..e c’è una resistenza che, a sua volta, viene definita terrorista.
Ma ciò che gli eventi attuali confermano ancora una volta è che l’occupazione scatena sempre una resistenza di cui gli unici responsabili sono gli occupanti.
Come proclama l’articolo 2 della Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino del 26 agosto 1789, la resistenza all’oppressione è un diritto fondamentale, un diritto che i palestinesi possono giustamente rivendicare”.

Medici senza Frontiere scrive l’11 ottobre 2023 dal fronte di Gaza, che a seguito dei continui bombardamenti e attacchi aerei, la situazione è catastrofica e gli ospedali sono sopraffatti dall’elevato numero di feriti.

I nostri team continuano a lavorare incessantemente per trattare le persone ferite e donare forniture mediche. Oltre ad essere attive all’ospedale di Al-Awda, dove solo ieri sono arrivate 50 persone, dopo l’attacco al campo di Jabalya, le nostre équipe hanno allestito una clinica nel centro di Gaza ed hanno inviato team chirurgici in due ospedali In soli tre giorni abbiamo utilizzato le scorte di forniture mediche di tre settimane. Ieri mattina abbiamo ricevuto nel nostro ospedale un ragazzo di 13 anni il cui corpo era quasi completamente ustionato dopo che una bomba è caduta vicino alla sua abitazione e ha innescato un incendio. È molto difficile trattare casi come questi nelle condizioni in cui ci troviamo ad operare e quando sono coinvolti dei bambini è molto difficile da accettare”.

In questi difficili, tristi, momenti che tutto il popolo palestinese sta attraversando, sentire una voce che proviene proprio da quell’inferno in cui si trova oggi Gaza, ci fa capire e sentire più vicini alla loro sofferenza.

Il Signor “M” che vive a Gaza, nei pressi del campo di Jabalia, in un’intervista rilasciata (4) pochi giorni fa a Radio Popolare, racconta quello che sta vivendo.

Gaza è un buco (senza uscita) dove la densità tra esseri umani permette alla volontà omicida di “colpirne uno per massacrarne cento”; gli sfollati, migliaia, sono principalmente coloro i quali vivono al confine, illegittimo, con l’Entità sionista e da questa costretti, i più rapidi, a fuggire dalle proprie abitazioni bersagliate da una pioggia di fuoco. Ma a fuggire per andare dove?..
Alla realtà antecedente, di mera sopravvivenza nel migliore dei casi, oggi si aggiunge il rischio ancora più elevato di essere uccisi, di rimanere senza un tetto e privati di quelle poche risorse di cui si poteva disporre, ma non solo…

L’acqua non più desalinizzata per il mancato funzionamento del relativo impianto, per carenza di energia, diventa ancor più una risorsa inaccessibile, mentre l’elettricità che nei momenti “fulgidi” era disponibile 6/8 ore al giorno, attualmente lo è, nelle ultime 36 ore, forse 2 scarse..

Inizia a scarseggiare il cibo, per chi si può ancora permettere di acquistarlo, nonché i beni necessari ad una esistenza dignitosa…

Le persone che sono state costrette a lasciare la propria abitazione trovano ospitalità presso familiari, amici e chi può, in realtà abitative più ampie, dove prima vivevano 6/8 persone, oggi si ritrovano in una trentina..ci si stringe un po’!”

Il Sigor M, affranto pur nella sua fierezza, esterna la sua preoccupazione per la difficoltà di trovare, causa la carenza di medicinali essenziali, le medicine che servono a due delle sue bambine affette da serie patologie…

Negli ospedali si è ben oltre l’emergenza, non tutti i feriti trovano accesso, le operazioni chirurgiche si susseguono senza soluzione di continuità, per molti non si fa in tempo ed i medici sono stremati e frustrati dalla carenza di mezzi e strutture…
Tutte le terapie somministrate ai pazienti sono sospese, comprese le chemio, dialisi ed affini, persino partorire rappresenta un problema…
Trasportare le vittime dell’eccidio in corso si dimostra particolarmente pericoloso poiché non soltanto le auto private sono oggetto di rappresaglia, ma lo sono anche le ambulanze della Mezza Luna Rossa, target privilegiato ella mira criminale sionista.

Noi – continua – siamo destinati a questo tipo di vita e siamo preparati: non abbiamo potuto scegliere, abbiamo cercato di trovare spazi di umanità nei valori familiari, nella solidarietà, in quanto di bello la natura, anche nella nostra terra, ci offre. Chi come me e molti altri ha creduto si potesse ribaltare questa realtà è rimasto deluso dall’inefficienza della nostra politica e dal non essere mai riusciti a progredire. Questa amarezza porta, inevitabilmente, a farci diventare fatalisti, non stupidi.

Siamo arrivati ad un punto di non ritorno, la riscossa in atto era attesa seppure sorprendente quanto a tempistica e modalità. Personalmente, sono distante dall’ideologia sostenuta da chi ci governa ma apprezzo e rispetto un dato confutabile che incide sulla vita di noi gazawi e dei palestinesi tutti: questa si chiama Resistenza ed era ed è inevitabile, perché vivere da sottoposti non è dignitoso.

Come persone dotate di orgoglio, coraggio, dignità non accetteremo mai la normalizzazione impostaci dal progetto sionista e sostenuta dall’Occidente oltre che da traditori e falsi amici, resisteremo ad ogni costo, siamo Palestinesi!”

Conclude così l’intervista il Signor M, aggiungendo che:
“Il vostro esserci vicino, la telefonata, il messaggio, è certamente di vitale importanza”.

Queste sono le parole di un uomo palestinese nella sua dignità di essere umano nella consapevolezza di essere nel giusto, a cui noi dobbiamo unicamente rendere onore.

LINK:

1 – Articolo di Mirca Garuti – “BASTA MASSACRI VERSO IL POPOLO PALESTINESE”

2 – Articolo di Mirca Garuti – “UNA TESTIMONIANZA DIRETTA DA GAZA” 

3 – Articolo di Alain Gresh – Testimonianza da Gaza” 

4 – Articolo di Enzo Barone – “Gaza sotto assedio: Così è se vi pare”

Fonti: “InfoPal” e Il Post”