Incontro con il giornalista curdo SAID EVRAN
A Suleymaniya incontriamo il giornalista curdo originario di Amed, Said Evran che ci parla della situazione in Siria e in Medio Oriente.
La conversazione comincia dalla situazione in cui si trova Idlib.
Idlib non è più solo una questione siriana ma è internazionale. Il futuro dei rapporti fra le potenze coinvolte nel conflitto siriano.
Idlib è il capoluogo di una provincia che confina con Aleppo, Latakia, Hama e con la Turchia. Si trova tra la la metropoli più importante della Siria ed il confine turco. Le prime rivolte in Siria si sviluppano a sud della provincia di Daraa, ma i primi episodi di aggressione nel giugno 2011 si verificano a Jisr ash-Shugur, una cittadina della provincia di Idlib, dove un gruppo di manifestanti attacca alcune caserme. Damasco risponde inviando l’esercito per cercare di riportare l’ordine. Le proteste si trasformano quindi in una guerra per il controllo del territorio.
Alcuni analisti sostengono che questo primo atto di guerra avrebbe causato la nascita dell’Esercito siriano libero, dove i vari gruppi armati anti Assad hanno trovato le proprie roccaforti. E’ infatti questa provincia che ha assicurato a queste diverse sigle il rifornimento di armi e uomini dalla Turchia. E’ da qui che è partito l’assalto ad Aleppo ed è sempre da qui che i terroristi si sono organizzati per riuscire a togliere sempre più terreno all’esercito siriano. La città di Idlib si trova sotto occupazione dei ribelli dal gennaio 2015.
La guerra in Siria è stata teatro di diversi e numerosi vertici nel tentativo di raggiungere soluzioni di pace o almeno di una tregua al conflitto. Ci sono stati sia sforzi diplomatici promossi dalle Nazioni Unite e parecchi incontri avviati da Russia, Iran e Turchia ad Astana, capitale del Kazakistan. In uno di questi incontri, a maggio 2017, è stata designata Idlib come una “zone di de-escalation”, che prevede il cessate il fuoco, il divieto di sorvolo dell’aerea, il rifornimento immediato di aiuti umanitari e il ritorno dei rifugiati, sotto la supervisione di Russia e Turchia. Idlib è così diventata l’ultima roccaforte del terrorismo islamico e la discarica dei jihadisti sconfitti. Attraverso la creazione di questa zona, l’esercito turco ha potuto mettere posti di osservazione in tutta la regione della Siria nord-occidentale, trasformando Idlib nel nuovo fronte di guerra.
L’accordo tra Siria e Turchia che prevede la collocazione di tutti i ribelli a nord in questa zona, ha significato essenzialmente il rimandare il problema a dopo la riconquista della Siria da parte di Damasco, fino al confine con Israele e Giordania. Un problema che si potrà risolvere con l’ultima battaglia.
Said Evran – prosegue nella sua esposizione – definendo la presenza di Russia, Stati Uniti e Turchia sul suolo siriano, solo per interesse personale.
Il coinvolgimento della Russia inizia il 30 settembre 2015 con un bombardamento sulle postazioni jihadiste tra Homs e Hama. La Russia interviene in aiuto al regime di Assad che si trova in difficoltà avendo perso il controllo della maggior parte del paese, per salvare la sua ultima base in Medio Oriente e perché teme anche che un possibile trionfo dello Stato islamico in Siria possa avere delle ripercussioni nel Caucaso russo. Nonostante la sconfitta del califfato, la Russia rimane ancora sul suolo siriano, probabilmente con altre intenzioni dettate dai nuovi scenari post Califfato. Il suo impegno è molto rilevante sia a livello militare che politico. Ha annunciato che non c’è una data per il ritiro delle truppe: rimarranno in Siria finché sarà necessario.
Said Evran sostiene che la guerra in Siria ha confermato la centralità politica della Russia nel Mediterraneo orientale e questo può diventare un problema per la Nato. Per questo l’obiettivo dell’Alleanza Atlantica è rivolto a indebolire e isolare Mosca da alcuni dei suoi più importanti partner strategici. Nonostante le dichiarazioni di un disimpegno americano, nel mirino Usa, la Siria e il Medio Oriente restano ben presenti.
Oltre ad una partita strategica, importante per tutti, c’è anche quella economica legata al gasdotto e petrolio. L’interesse di Bashar al Assad, dopo aver liberato le ultime zone intorno a Damasco dalla presenza dei ribelli, è rivolto ad est ai campi petroliferi di Deir ez Zhor, per cercare di ricostruire il suo paese dai danni della guerra.
La conversazione con Said si fa ben presto abbastanza complessa ma succede sempre quando si parla di Medio Oriente. Diventa difficile destreggiarsi tra emergenze umanitarie e lotte per le risorse naturali presenti sul territorio.
Da anni, infatti, tra Assad e l’Occidente sono in corso trattative per un gasdotto che dovrebbe collegare il Qatar alla Turchia. Trattativa ferma per il rifiuto da parte della Siria di farlo passare sul suo territorio. Allora verrebbe da chiedersi: tutto questo ha una valenza sui motivi che hanno scatenato la guerra? La si può anche chiamare forse “una guerra per l’energia”? Da qualche anno infatti è iniziata una nuova corsa al gas naturale da portare in Europa. Il problema è come portarlo, attraverso quali vie e con chi.
Il gas della Russia, i progetti di gasdotto asiatico e il TAP per l’Italia
L’Europa per le forniture del gas è sempre stata dipendente dalla Russia ma, oggi, a causa dell’embargo loro imposto causato dalla recente crisi con l’Ucraina, ha bisogno di altri canali di approvvigionamento.
Il primo progetto doveva portare il gas in Europa, dall’Azerbaigian fino all’Austria. L’Unione Europea però nel 2013 ha scelto di evitare il passaggio del condotto dai Balcani e di andare verso l’Italia attraverso il Mar Ionio e l’Adriatico. Questo progetto di gasdotto, noto all’Italia come “Tap” fa parte del grande progetto chiamato Corridoio Sud del Gas.
Il Tap ha una lunghezza pari a 878 chilometri (550km in Grecia, 215 in Albania, 105 nell’Adriatico e 8 in Italia). Il tratto italiano dovrebbe avere una portata di 10 miliardi di metri cubi di gas all’anno, con la possibilità di arrivare in un futuro fino a 20. Il Tap, nonostante sia contestato dalla popolazione e governi locali preoccupati per l’impatto ambientale ed economia locale, è ritenuto un importante progetto sia per l’Europa e sia per il Governo italiano. Nonostante i numeri, questo progetto però non è sufficiente a soddisfare la richiesta di gas attualmente necessarie all’Europa. Ed ecco che entra in gioco il Medio Oriente.
Nasce nel 2009 il progetto del Qatar-Turkey Pipeline, un condotto che avrebbe dovuto unire i due paesi per portare il gas all’Europa passando dalla Bulgaria. Il condotto deve però attraversare anche la Siria, e quindi il progetto si ferma perché Assad non dà il suo consenso. Tale rifiuto diventa comprensibile quando nel 2011 viene annunciato il progetto dell’Islamic Pipeline. Una nuova proposta che prevede il trasporto del gas dall’Iraq passando attraverso l’Iran, la Siria, il Libano,per arrivare poi, attraverso il Mar Mediterraneo, in Europa.
I due progetti illustrati sono alternativi tra di loro e rappresentano gli interessi di due blocchi contrapposti: il primo aumenterebbe il potere dei sunniti (Qatar e Arabia Saudita), il secondo invece quello sciita (Iran e Siria). Sullo sfondo restano sempre Stati Uniti e Israele pronti a sostenere gli alleati per non far crescere il potere dei rivali in Medio Oriente.
Le altre forze internazionali nello scenario di guerra
Said, lasciato il discorso sull’aspetto economico del gasdotto, continua ad esporci il suo pensiero sulla situazione odierna. Altri attori importanti si trovano sul palcoscenico della Siria: oltre a Russia e U.S.A, sono presenti Turchia, Iran ed il popolo curdo.
La Turchia vuole tornare ad essere una potenza della zona ed insegue il sogno di un ritorno all’impero ottomano.
L’Iran vuole creare un corridoio sciita che attraversa la Siria fino ad arrivare in Libano.
Russia, Turchia e Iran presentano progetti strategici differenti che li vede però uniti nella loro contrapposizione agli Usa.
Un problema però si evidenzia quando si parla del popolo curdo e del Confederalismo Democratico. Tutti, americani, iraniani, turchi, russi sono contro di loro, soprattutto dal momento in cui il sistema Rojava è diventato un modello di vita e di organizzazione della società. E’ osteggiato ovunque, come ad esempio anche nel Bashur stesso per la sua pericolosità sociale e per il fatto che pure il popolo siriano comincia ad apprezzarlo ed a rivendicarlo.
All’inizio del conflitto, il disegno Usa prevedeva che il cantone di Cizre fosse sotto il controllo del KDP di Barzani, mentre quelli di Afrin e Kobane dalla Turchia. Con l’entrata in scena dell’Isis, il progetto americano fallisce e si inserisce invece quello russo, con le sue nuove alleanze di Turchia e Iran. La Turchia è presente a Jarablus, Idlib e Afrin. La Russia, che sostiene Assad come “capo della Siria”, viene sollecitata dallo stesso Assad ad intervenire per impedire che queste zone possano rimanere sotto il controllo turco e delle milizie ribelli.
La situazione è comunque in continuo mutamento a seconda delle diverse alleanze che strategicamente si creano. Said crede che alla fine America e Russia troveranno un accordo tra di loro contro Turchia e Iran. Tutte le forze in campo cercano di utilizzare i curdi per arrivare ai loro scopi. I curdi sono consapevoli di questo e, anche per questo, hanno creato il Confederalismo Democratico, per non aver bisogno di nessun Stato ma solo dell’appoggio dei popoli.
Sempre secondo il parere di Said, Assad non ha il potere oggi di contrastare il Confederalismo Democratico in Rojava. A questo proposito, c’è stato un incontro con i curdi nel quale Assad ha asserito che farà quello che deciderà l’Iran. Tutti sono contrari a questo sistema. Non solo gli stati occidentali, ama anche a livello locale, in particolare dalle varie monarchie regionali o clan, perché mette in discussione il loro potere sulla popolazione.
La zona che va da Kobane a Dar-er-Zor, ad esempio, si trova sotto controllo americano. Dar-er-Zor è la zona più ricca di petrolio e gas e la permanenza americana qui è per contrastare il progetto iraniano di avvicinarsi al Libano. Tutta la guerra è concentrata in questa zona. Russia, Iran, America, Francia, Germania, Italia, tutti sono qua per avere qualcosa.
La guerra dell’acqua
Un altro fattore di estrema importanza strategica per tutti gli attori in campo è la “guerra dell’acqua”. Guerra usata anche dall’Isis per la conquista di territori e città.
Per produrre energia sono stati creati molti laghi e dighe sfruttando i fiumi del paese. Con il controllo idrologico, infatti, si possano dominare popolazioni civili sia irachene che siriane.
La diga più importante e contesa è quella di Tabqa, costruita nel 1968, in gran parte anche con l’aiuto finanziario della Russia. Si trova sull’Eufrate nella Siria centro-settentrionale, vicino alla città di Raqqa. E’ considerato il più grande bacino artificiale del paese, costato ben 350 milioni di dollari. La diga di Tabqa fornisce alla Siria l’80% di tutta l’energia elettrica necessaria e acqua per la produzione di grano sia per uso interno che per l’esportazione, diventando un’importante fonte di ricchezza per la popolazione. E’ stata sotto controllo dell’Isis dal 2013 al 2017 e poi dalle milizie curde in alleanza con le Forze democratiche siriane (SDF). La Russia sta cercando di fare accordi con l’SDF per poter avere il controllo della diga.
Tutte le forze impegnate in questa guerra affermano che combattono per una Siria federale e democratica. Il tempo necessario per arrivare a questa conclusione è sconosciuto. Said prosegue dicendo che non crede nella fine dell’Isis, è molto probabile un cambiamento di sigle, nasceranno altri gruppi. Oggi, a breve, non vede una possibile conclusione.
SITUAZIONE IN ROJAVA
Incontriamo sempre a Suleymaniya alcuni esponenti del PYD (Partito democratico del popolo di Suleymaniya) e del Kongra Star.
Il Pyd è il partito maggioritario nel Kurdistan occidentale (Rojava, Siria del nord). Le sue ali militari sono le YPG (Unità di difesa popolare) e le YPJ (Unità di difesa delle donne) ed è, sia da un punto di vista militare che politico, uno stretto alleato del PKK. Condivide quindi la proposta del Confederalismo Democratico, anzi, lo mette in pratica nei territori del Rojava.
All’inizio della guerra non si è schierato né dalla parte del governo di Assad e né con i ribelli, scegliendo una terza strada: liberare e difendere il proprio territorio per amministrarlo “dal basso” insieme alla società civile non solo curda ma anche con altri partiti, attraverso una democrazia cantonale.
Il Kongra Star è il congresso di tutte le organizzazioni delle donne della Federazione della Siria del Nord. I suoi obiettivi principali sono la tutela delle donne da un punto di vista giuridico, lo sviluppo di una conoscenza che appartenga alle donne ed il superamento delle strutture e relazioni patriarcali e stataliste. Obiettivo: la liberazione delle donne dal punto di vista economico e sociale.
Il lavoro di coordinamento di questa struttura è organizzato attraverso nove comitati:
1. formazione,
2. giustizia,
3. autodifesa,
4. politica,
5. economia,
6. diplomazia,
7. informazione,
8. arte e cultura,
9. salute.
Attraverso questa rete, il Kongra Star riesce ad essere sempre in contatto con tutte le necessità della popolazione femminile. Il suo lavoro si svolge in parallelo con quello del TEV-DEM (Movimento per una Società Democratica). I due organi hanno obiettivi comuni pur mantenendo la propria autonomia.
La questione Afrin
Una responsabile del Kongra Star ci parla subito di Afrin e della sua resa. Quando le forze armate turche sono entrate nel cantone di Afrin a maggioranza curda e nell’area di Tel Rifaat del governatorato di Aleppo, sono stati distrutti centinaia di paesini solo perché abitati da curdi. Ovvero il tentativo di una vera pulizia etnica: sostituire in tutta la zona la popolazione curda con quella araba e di altre etnie. Si tratta dunque di una questione militare e politica, celebrata con un accordo tra Russia, Turchia e Siria nel silenzio degli altri stati. Afrin si trova così isolata rispetto agli altri cantoni.
Prima dell’inizio della guerra civile siriana nel cantone di Afrin vivevano circa 400.00 abitanti in prevalenza curdi e successivamente vi avevano trovato rifugio alcune centinaia di migliaia di profughi provenienti da Aleppo e da altre zone della Siria. Causa l’intervento dell’esercito turco, nella zona tra Afrin e Kobane sono stati costretti alla fuga abbandonando le loro case, 200.000 persone, perchè era diventato molto pericoloso. Ancora oggi non possono tornare.
Alla nostra domanda: riusciranno a riprendersi Afrin? La responsabile ci risponde positivamente:
“non si può sapere quando, ma, o con la forza o con un accordo, riusciranno a tornare, devono tornare. Ma fino a quando sarà presente la base turca, tutto rimane fermo.”
Afrin è diventata una questione internazionale. Le persone che non sono riuscite o non hanno voluto lasciare le proprie case sono in continuo pericolo. La loro quotidianità è fatta di violenze, stupri, furti, estorsioni e omicidi. La resistenza continua con le milizie Ypg e Ypj che combattono per la difesa della popolazione, mentre le persone che sono fuggite, hanno trovato rifugio o in campi profughi o in altri villaggi in Rojava. In questo modo riescono a restare vicini alle proprie case con la speranza di poter tornare il più presto possibile.
Nei campi, intanto, abitati per la maggior parte da curdi, arabi ed Ezidi, hanno riprodotto il loro sistema di organizzazione di vita sociale. Purtroppo riuscire a visitarli è molto difficile per la presenza sia degli islamici che dei siriani.
La Turchia e il Rojava
Da sempre, anche prima di diventare una Repubblica, il sogno della Turchia era quello di avere un territorio abitato da una popolazione omogenea. Il tentativo è stato fatto già nel 1915 con il genocidio degli armeni. Poi, nel 1923 con la nascita della Repubblica, iniziò il processo di assimilazione di tutte le diverse etnie presenti su quelle terre e di conseguenza la lotta contro il popolo curdo, che ancora oggi continuano a resistere.
La guerra in Siria ha consentito al governo di Erdogan di iniziare ad attaccare i curdi anche al di fuori dello Stato turco, uccidendo 300 persone solo nella città di Cizre. Per questo motivo ha appoggiato l’Isis ed i vari gruppi jihadisti.
La Turchia, ci racconta un responsabile del Pyd, è stata fondamentale per la nascita dell’Isis e del suo uso contro la popolazione curda.
“Per loro Erdogan ha aperto le porte dei suoi ospedali!” – afferma ancora il responsabile del partito – “ma fino a quando la Turchia resterà in Medio Oriente non ci sarà mai la pace. Erdogan è una minaccia per l’Europa e il M.O. Per cambiare la situazione, non non basta sconfiggere fisicamente l’Isis, ma bisogna arrivare a modificare la mentalità che guida questa ideologia fondamentalista islamica. Erdogan per raggiungere i suoi obiettivi si è reso responsabile della creazione dell’Isis, ma, nello stesso tempo, gli U.S.A. hanno utilizzato la Turchia per frammentare il M.O. a proprio uso. La differenza tra le forze coinvolte in questa guerra è molto alta ed i curdi saranno destinati ad essere martiri. Servono accordi internazionali. Alla fine, Russia e America troveranno un accordo e scaricheranno Turchia e Iran.”
Il Confederalismo Democratico
Il PYD è un partito dalla ideologia socialista.
“La nostra forza – ci racconta uno dei responsabili – è il popolo. Il nostro modello è basato su un sistema di cooperative, in contrasto con il capitalismo e il nazionalismo. Il ruolo della donna è molto importante e lo dimostra il fatto che ora il rapporto della sua partecipazione alla vita sociale e politica, con l’uomo è paritario.” Rimarcano inoltre che, l’accordo siglato con gli U.S.A. è stato fatto solo da un punto di vista tattico, legato alla necessità di difendersi in un particolare momento del conflitto e che questo non ha modificato in nessun modo la loro filosofia socialista.
Il Pyd sta cercando di mettere in pratica le basi del Confederalismo Democratico, anche per quanto riguarda l’aspetto economico. Per esempio, stanno cercando di gestire le retribuzioni dei lavoratori di tutte le varie professioni, garantendo un compenso equilibrato e compreso tra un minimo ed un massimo. Non esistono “stipendi” dati da uno specifico datore di lavoro. Ogni lavoro e categoria è organizzato attraverso il sistema cooperativo dove a insegnanti, medici, contadini, operai ecc. vengono offerti un lavoro e un’equa retribuzione. In Rojava sono presenti 5000/6000 tipi di diverse Cooperative. Chi non può lavorare è aiutato dall’intera comunità. Il Confederalismo Democratico è la speranza di poter cambiare la mentalità esistente per una vita migliore, più giusta ed equilibrata per tutti.
Anche per quanto riguarda il sistema bancario stanno cercando di trovare una soluzione diversa rispetto al suo funzionamento odierno legato solo al sistema capitalista. Sono consapevoli che bisogna gestire il movimento dei soldi, ma si deve non diventare schiavi delle banche, come invece succede oggi nei sistemi liberali. Per esempio, i prestiti non sono erogati ai singoli, ma direttamente alle Cooperative senza l’applicazione di interessi. L’obiettivo è quello di considerare le persone, non per la loro situazione finanziaria, ma solo per i meriti acquisiti nei confronti della società.
L’Arcobaleno di Alan
Asya del Movimento delle donne di Suleymaniya ci racconta che le organizzazioni delle donne in Rojava si occupano da alcuni anni del problema legato agli orfani di guerra. Il Comitato di Ricostruzione di Kobane, con la Fondazione delle Donne Libere del Rojava (WJAR) e UIKI (Ufficio d’Informazione del Kurdistan in Italia) nel 2016 hanno iniziato i lavori di costruzione di un luogo destinato agli orfani. Luogo chiamato “Alan’s Rainbow” (L’arcobaleno di Alan), in ricordo del piccolo Alan, proveniente da Kobane, fuggito con la sua famiglia dalla violenza dell’Isis e poi ritrovato morto su una spiaggia in Grecia.
La guerra a Kobane ha prodotto un numero molto alto di orfani: 872 di un solo genitore e 62 di entrambi. Di qui la necessità, dato l’alto numero di bambini rimasti da soli o in estrema difficoltà causa traumi di guerra, di costruire un luogo di vita e di studio dove poter superare le esperienze traumatiche vissute sotto gli attacchi dell’Isis. Purtroppo all’inizio del 2017 i lavori per la costruzione dell’orfanotrofio si sono fermati per mancanza di fondi. Il piano però non si è fermato. E’ continuato grazie all’Associazione Docenti Senza Frontiere, promotrice del progetto, alla Fondazione Museo storico del Trentino ed al finanziamento della Provincia Autonoma di Trento.
La struttura è composta da due edifici di tre piani. In uno ci saranno la cucina, le camere da letto e gli spazi comuni per circa 100 orfani, tra gli 1 e i 16 anni, che qui vivranno quando l’opera sarà completata. Nell’altro edificio ci sono le scuole di ogni ordine e grado capaci di ospitare oltre 500 studenti. Dall’asilo alle superiori. Oltre all’educazione scolastica, sono anche previsti corsi di lingua straniera, musica ed informatica e la possibilità d’imparare una professione. Un parco e uno spazio giochi completano il progetto.
Dietro l’edificio che ospiterà le aule, ci sarà uno spazio normalmente adibito a palestra ma, in caso di bombardamenti o attentati, potrà essere destinato come rifugio sicuro per tutti i bambini. La scuola materna e la scuola primaria saranno a disposizione anche degli altri bambini della città, in modo da creare un ambiente in cui i bambini imparino a sostenersi a vicenda ed a costruire legami comunitari e di familiarità tra loro. I bambini devono crescere con la loro società e la società deve sentire questi bambini come una propria parte.