SINDACATO: LA SFIDA CHE GUARDA AL FUTURO

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E’ ormai il 2022 e se da una parte il governo ha approvato la manovra finanziaria con il beneplacito di tutti i partiti, poco o nulla si è discusso seriamente sulla sfida di un sindacato che guarda al futuro.

In questi due anni di pandemia e di chiusure repentine delle fabbriche anche con bilanci e pacchetto ordini in super attivo, i tre più grandi sindacati italiani sembrano ciondolare come pugili intontiti da un angolo all’altro del ring. Pugni scagliati nel vuoto e lo sguardo rivolto, in cerca di aiuto, verso il pubblico, poco in verità, presente allo scontro.

Non è la voglia di vedere l’incontro che manca ma la fiducia che questa azione possa portare a un risultato costruito, round dopo round, con un verdetto serio sancito a fine combattimento. Soprattutto emesso da un arbitro imparziale e difensore delle regole sancite nella Costituzione, oggi neanche presente sul ring e in procinto di lasciare lo stadio senza emettere un verdetto che permetta, ad entrambi gli sfidanti, di poter organizzare un altro incontro. Forse anche perché la realtà è ormai assai differente.
Ad esempio il pugile della CISL, capito il rischio di essere scaraventato fuori dal ring, non far più parte dello spettacolo e quindi, di non poter più incassare parte dei proventi del PNRR, decide di passare dalla parte dei giudici presenti al tavolo della Presidenza. Quello della UIL, invece, pensa che in fondo un massaggiatore e un allenatore che a volte possa dare saggi consigli a quello della CGIL, sia quanto mai necessario. Anche in caso di resa incondizionata.
In prima fila stanno comodamente seduti i manager del pugile che mai avrebbero organizzato quell’incontro e sino all’ultimo l’hanno sconsigliato attuando anche, come ritorsione, non solo la chiusura dello Stadio e la mancata copertura mediatica ma, il loro tifo e apprezzamento anche in caso di vittoria. Non è più tempo, per loro, di sostenere quel campione di sindacato, a meno che non faccia quello che i manager, oggi al vertice della federazione Parlamentare, impone.
Nessun rispetto neppure se da anni hanno accettato di cadere al tappeto, in nome dell’unità sindacale, spacciandola come una vittoria per i loro iscritti. Una vittoria che in realtà è stata incassata solo da quei manager politici sui tavoli delle scommesse clandestine e dove il premio in palio era il poter partecipare alla formazione del nuovo Governo. Ovviamente a discapito dei lavoratori sottomessi al lavoro precario e alle ragioni di mercato.
Però la CGIL e la UIL, con lo sciopero generale proclamato il 16 dicembre, su quel ring ci sono saliti e purtroppo ai lavoratori e al popolo, non è dato sapere se hanno intenzione di rimanerci.

Il coraggio dello Sciopero Nazionale
Dimostra coraggio, bisogna ammetterlo, l’aver deciso di convocare quello sciopero generale. Non solo perché rompe una prassi consolidata e data per assoluta, di passività di rapporti tra Governo e sindacati confederali ma perché, a discapito di tutte le forze politiche presenti in Parlamento e riconosciute “maggioranza” nel paese, pone un unico vero stop al dominio dell’uomo della provvidenza Draghi, del suo governo e delle scelte deleterie per uno “Stato Democratico Rappresentativo” dei suoi cittadini.

Purtroppo alcuni funzionari sindacali CGIL, digrignano i denti e accusano, con mia tristezza, la scelta certamente politica di questo sciopero. Peccato che la mossa rivendicativa sia, per ora, solo nella sua singola azione, mentre dovrebbe e speriamo possa rappresentare un nuovo inizio.
Soprattutto perché potrebbe dimostrare a tutti i lavoratori, un’incredibile quanto auspicabile autonomia, da parte dei vertici della CGIL, dal Partito Democratico. Da tempo non più riferimento dei lavoratori ma “Padre partitico” per molti segretari nazionali CGIL e funzionari, premiati con tanta solerzia a dirigenti nelle istituzioni e Parlamento.

Anche se in ritardo, non sono stati certamente i soli in ambito sindacale ad attaccare le scelte del Governo. Sarebbe ingiusto e soprattutto ingrato sostenerlo. Basta guardare, infatti, l’importante lavoro svolto in questi anni dai sindacati autonomi SI COBAS e USB, sempre in prima linea (0), contribuendo così ad ottenere, tra i lavoratori in lotta per la difesa dei posti di lavoro, un loro maggiore riconoscimento. Per non parlare poi dell’influenza che questo ruolo ha avuto anche nella decisione presa dalla CGIL e UIL. Forse un tentativo attuato anche per arginare o almeno porre un freno, alla fuga di iscritti di entrambi i sindacati confederali.

Le sfide che attenderanno nel prossimo futuro tutte le organizzazioni sindacali, non credo potranno dare buoni risultati se affrontati singolarmente. Avranno bisogno di una piattaforma comune e di una forza comune partendo dal riconoscimento reciproco, dal fatto che i salariati non si riconoscono come classe e che i lavoratori sono dei rivoluzionari, altrimenti l’adesione ai sindacati autonomi sarebbe stata assai fluente. Ma soprattutto che la maggior parte delle classi meno abbienti, lavoratori e non, ha votato a destra e perso fiducia nella sinistra e di tutto ciò che li identifica. Fuori e dentro al Parlamento.

Non è questa la sede per affrontare la motivazione del perché, a livello partitico, si lasci ampio spazio mediatico alla finta opposizione attuata dal partito di Giorgia Meloni e dalla Lega, fuori dal Parlamento. Partiti di natura e cultura corporativa, neofascista e anticostituzionale, esaltati a discapito di Sinistra Italiana o Potere al Popolo. Quest’ultimo ha anche proposto, grazie al suo unico senatore, una proposta seria di legge, neppure presa in considerazione, contro le esternalizzazioni industriali selvagge (emendamento “88.0.15” parlamento) (1) per lo più scritta in collaborazione con i lavoratori in lotta della GKN. (1.1)

Ripensare il concetto di sindacato stesso
Ampi articoli hanno elencato le motivazioni politiche di quello sciopero. Basterebbe guardare solo la manovra dell’IRPEF 2022 e il suo andamento negli anni (vedi tabelle) per assolvere e superare ogni dubbio ma, quello che interessa è altro. Vorremmo prendere in considerazione “il dopo”, senza rischiare di restare schiacciati tra chi crede che la mobilitazione e lo sciopero generale siano già la metà della soluzione e quelli che da tempo credono che i lavoratori siano tutti individualisti o peggio, che il ruolo del sindacato “futuro” sia quello di diventare solo una agenzia di difesa e distribuzione di servizi “garantiti” contrattualmente o per conto dello Stato.

Al contrario, invece, quello sciopero deve indicare un percorso interno al sindacato ed esterno nei luoghi di lavoro per ripensare il concetto di sindacato stesso. Di un sindacato che guarda al futuro e che deve riallacciare il rapporto con tutti i lavoratori salariati. Un rapporto da tempo interrotto e mai sostenuto.

A partire dal rapporto con la CISL. Grave, non è stato solo il non accettare la scelta della mobilitazione contro il Governo Draghi, che di fatto conferma una posizione integerrima mantenuta ormai da tanti anni, ma l’organizzare una contro manifestazione il sabato successivo.
Quella manifestazione sindacale indetta dalla CISL, ha aperto una ferita profonda nell’unità sindacale, tanto richiesta dai Governi di Centro Sinistra e che, per la prima volta è stata attuata per mano del sindacato sempre più vicino agli imprenditori della nostra penisola. Sarà la storia di questi tempi ma, per la prima volta, forti del loro riconoscimento dalla controparte, hanno superato quel limite, camuffato a torto anche dai vertici CGIL, di autonomia contrattuale nazionale scevra dei rapporti corretti e reciproci con le altre organizzazioni sindacali confederali. Attuando così di fatto una politica corporativa finalizzata solo alla tutela della propria organizzazione, come di quella industriale, dalle ragioni del mercato. In cambio, il mantenimento del posto di lavoro ai propri tesserati, anche se a discapito dei loro diritti e del finanziamento ricevuto da anni per effettuare i corsi di formazione. Per non parlare poi, della loro ampia partecipazione, a tutti i possibili enti bilaterali creati a misura dei propri dirigenti sindacali.

La scelta allora è la ricostruzione di un sindacato di classe?”
Certo è che alcuni punti fermi andranno mantenuti e soprattutto rilanciati. E’ inutile nascondere alcune evidenti lacune che questa società evidenzia, pretendendo di ammortizzarli con richieste avanzate al governo, d’interventi sporadici e non strutturali. Senza costruire un rapporto di forza serio.

Ad esempio intervenire per ricucire lo scollamento dei lavoratori dal sindacato ed in particolare dalle organizzazioni confederali, soprattutto nelle aziende attive e dove non sono presenti RSU confederali mobilitate e rivendicative. Non a caso è sempre più frequente che, dove si creano situazioni di disagio conclamato o rischi di chiusura, i lavoratori non sindacalizzati, stranieri, della logistica e in piccole e medie aziende, si rivolgono ai sindacati autonomi. Come è inutile nascondere la dilagante difficoltà delle classi meno abbienti a garantire un futuro non dico migliore ma almeno uguale per i loro figli. O il crescere di un nuovo sottoproletariato non solo tra le famiglie “povere” del nostro paese, ma anche tra i figli di quelle famiglie stabili economicamente da tempo. Gli stessi che oggi sono costretti, a causa di contratti capestro, a concorrere con un altro sottoproletariato aggiunto dei lavoratori immigrati.

Molti sono i problemi attribuibili, forse anche in modo semplicistico, al mercato e al suo legame sociale ormai indissolubile, ma per un sindacato non affrontare questa situazione per trovare delle soluzioni sociali oppositive” (opposte e propositive), significa aver perso la capacità di comprendere le difficoltà che la popolazione quotidianamente deve affrontare. Significa non essere in grado di contrastare lo sviluppo politico ed economico che si sta imponendo e al contrario, quale dovrebbe essere lo sviluppo della nazione e dell’Europa che ai popoli necessità.

Per questo è necessario rilanciare, veramente, un Nuovo Patto Sociale che tenga conto non solo della dignità del lavoro ma anche di altri fondamentali principi di democrazia che solo il sindacato, al di la delle sigle, deve farsene carico. Soprattutto, come in passato, in questa fase storica di riflusso verso le istituzioni democratiche d’intermediazione politica (organi di rappresentanza dello Stato) e i Partiti stessi. Questa è la vera sfida per un sindacato 3.0.

E’ proprio in quel Patto Sociale o Nuovo Statuto dei Lavoratori che si dovranno chiaramente esprimere alcuni punti fondamentali che non siano solo slogan lanciati per rafforzare delle mobilitazioni ma punti imprescindibili da porre su ogni tavolo di trattativa contrattuale e governativa. Punti e tavoli in cui, dalle aziende, alle Regioni e al Parlamento, non possono essere difesi solo attraverso un riconoscimento politico dalla controparte, che non esiste più da tempo se non quando è unilaterale. Ma solo se si riuscirà a rimettere in campo un coinvolgimento di tutti i lavoratori. Di tutti i salariati uniti di ogni categoria.

Per fare questo è però necessario innanzitutto individuare dei punti riconoscibili e che diventino parte integrante della rivendicazione non solo salariale ma sociale. Punti facilmente interpretabili dai lavoratori e non lasciati a forze politiche come Lega e Cinque Stelle. Le uniche ad essere riuscite a far approvare, da oltre 20 anni, due leggi importantissime non solo per il consenso popolare ma per la difesa dei diritti umani del nostro popolo: il “Reddito di Cittadinanza” e “Quota 100” contro la legge Fornero delle pensioni.

Nel Nuovo Statuto dei Lavoratori devono essere collocati alcune richieste che non solo guardano al futuro di questo paese ma anche al rilancio della partecipazione e quindi della Democrazia stessa.
Alcuni esempi.

  • Definire nuove modalità di gestione del Reddito di Cittadinanza articolato e strutturato non solo come sistema di ammortizzatore sociale ma come fonte di reddito, anche sotto forma di servizi, che permetta di riattivare la scala sociale “delle opportunità” per tutti i cittadini e le famiglie. Un sistema che consenta di poter individuare un percorso per migliorare il proprio futuro. Il che significa non una patrimoniale secca e inconcludente, se non utile solo in termini economici e di breve tempo ma, una ridistribuzione strutturale della ricchezza prodotta. Fuori dalla concertazione unilaterale e volta anche e soprattutto a garantire servizi differenziati a seconda delle necessità sociali dei suoi cittadini.
    Illustri economisti hanno già da tempo dimostrato l’importanza di questo strumento basti leggere l’articolo del Financial Times di Martin Sandbu (2) riportato dal Fatto Quotidiano in cui si definisce:

    In due semplici mosse, si può portare il costo netto del reddito minimo universale (Universal basic income) a circa il 5% del prodotto interno lordo di un Paese, garantendo comunque un importo significativo ai cittadini. […] un reddito minimo universale concepito come una deduzione fiscale che sostituisce le spese fiscali esistenti costa molto meno in termini netti di quanto spesso si pensi. È ancora una misura costosa, certo, ma nella giusta prospettiva acquisisce una dimensione che rientra nell’ambito di quello che si può, e si dovrebbe, discutere tra persone serie.”

    Scandaloso ad esempio è stata la caccia soprattutto mediatica rivolta ai “furbetti” del reddito di cittadinanza (è certo giusto che paghi chi se ne approfitta…) non tanto per un senso di giustizia ma per nascondere che, in verità, ha permesso a molte famiglie indigenti di poter sopravvivere alla crisi e soprattutto ad impedire che molti imprenditori potessero ricattare offrendo salari da fame. La riforma poteva certo essere migliore ma, negare questo è falsificare una realtà. O un insulto soprattutto se questo viene sostenuto da Fratelli d’Italia che parlano tanto di “popolo” e nulla dicono o propongono per recuperare l’evasione fiscale, impedire il lavoro nero e soprattutto le morti quotidiane dei lavoratori. Come per una riforma delle pensioni che tenga conto dei lavori usuranti; di un precariato denigrante in modo legale senza versamento di contributi che ormai da tempo sta contribuendo ad ammazzare ogni possibile sviluppo sociale e servizi sociali di questo paese.

  • Rivendicare una Paga Minima a 10 euro/ora di legge per tutti i lavoratori. In Germania è stato fissato a 12 euro (3) e non si comprende perché questa proposta sia considerata uno scandalo. Comprendo che questo possa mettere in discussione il valore economico e non solo, dei contratti nazionali di categoria ma se questi debbono essere difesi accettando lo scempio rappresentato dal Contratto dei Servizi, del Commercio etc. dove si è legalizzato lo sfruttamento e il caporalato, bisognerebbe rimettere tutto in discussione. Si ricominci a partire dal contrastare questo nuovo mondo globalizzato che ormai domina e affama le persone arricchendone altre in modo spropositato (vedi tabella delle povertà).
    Anche qui basta guardare i dati: 4 su 5 assunzioni sono precarie (ben l’80% delle assunzioni fatte quest’anno sono a contratto precario) e nonostante che il 90% del gettito IRPEF sia versato da lavoratori a contratto, la maggior parte degli 8 miliardi da ridistribuire è andata ai redditi da medi ad alti. Per non parlare poi della possibilità, illustrata da Draghi, di congelare le detrazioni, per altro modeste, per la fascia sopra i 75 mila. Mentre non passa una ridistribuzione verso il basso dove si scontano inflazione e aumento delle bollette perché si sono opposti Italia Viva, Forza Italia e la grande forza “neo-popolare” della Lega.

Se non è sufficiente, vogliamo parlare di salari? Secondi i dati OCSE (vedi le tabelle dei redditi 3.1) divulgata nell’ultimo Rapporto Censis, l’Italia è l’unico Paese tra 35 Paesi avanzati in cui le retribuzioni lorde sono negative rispetto a trenta anni fa. C’è neoliberismo, globalizzazione ed euro anche in Irlanda (+85%), Svezia (+63%, non euro), Germania (+33%), Francia (+31%), Grecia (+30%), Portogallo (+13%) eppure solo in Italia si segna uno scandaloso -3%.
L’Italia è 22° posto su 27 Paesi in UE per indice di eguaglianza. L’indice Gini è peggiorato di quattro punti nel 2020 (fonte: Draghi-Banca d’Italia (4)

Per questo è importante cominciare a ragionare seriamente per una progressiva riduzione dell’orario di lavoro a parità di salario. Un progetto che non può essere applicato solo nella sua semplice definizione ma dovrà tener conto del riconoscimento contrattuale delle nuove figure professionali sino ad oggi mai contemplate; delle modalità con cui si sono e si dovranno riorganizzare gli orari di lavoro tenendo conto anche della necessità di riequilibrare i tempi di lavoro con quelli di vita; dell’aumento della produttività ottenuta attraverso maggior pressione sui ritmi di lavoro e senza investimenti in nuove tecnologie produttive automatizzate.

In questo paese, è inutile negarlo, gli sgravi fiscali per l’industria 4.0 di cui hanno goduto le imprese italiane, solo in parte sono state finalizzate ad una seria riorganizzazione produttiva e dove questo è avvenuto, ha visto aumentare i profitti delle aziende e spesso provocare l’espulsione della manodopera dal processo produttivo. E questa prassi aumenterà negli anni a venire. Per questo è giunto il momento di aprire una seria rivendicazione sulla questione “orario di lavoro” come fu fatta per portare le ore lavorative a 8 giornaliere e 40 settimanali. Anche se, oggi come allora, gli imprenditori parleranno di fallimento e distruzione dell’imprenditoria che di fatto poi non è mai avvenuta.

  • Sicurezza sul lavoro, lotta all’evasione contributiva, lavoro nero e stabilizzazione dei lavoratori immigrati.
    E’ grave, non riconoscere che è in atto un tentativo dalle classi imprenditoriali europee di contrastare il basso costo commerciale delle merci provenienti non solo dai paesi extra europei ma anche dall’Europa dell’est, abbassando le retribuzioni e la sicurezza fisica e salariale dei lavoratori del sud Europa. La mancanza di una progettualità e programmazione industriale seria di questo paese e dell’Europa ha portato, oltre alla distruzione dei diritti anche all’interno dei contratti nazionali, all’innalzamento della disoccupazione giovanile (vedi la tabella) e a legalizzare la precarietà e il caporalato. Oggi ancor più strutturale grazie al ricatto orchestrato contro i lavoratori attraverso il ricatto competitivo dei lavoratori immigrati. Sempre meno tutelati e sempre più sfruttati. Altro che investimenti per un industria 4.0.

Dobbiamo smettere di negare che è in atto una tratta di uomini gestita dalle organizzazioni malavitose ma mediata e controllata dai servizi di sicurezza dei governi europei. Una tratta lasciata fiorire da parte dei governi che in questi anni si sono succeduti. Un metodo e sistema che sta per essere utilizzato in modo definitivo contro il diritto al lavoro e ad una seria, se non distruttiva, contrattazione nazionale. Da qui la necessità di aprire una campagna dura di richiesta di controlli e pene nei confronti dei datori di lavoro che non rispettano le regole sancite dalla nostra Costituzione.

  • Rilanciare il valore dei servizi pubblici contrastando e invertendo il percorso sino a qui svolto di privatizzazioni selvagge dei beni pubblici. Contrastare il “Meno Stato, più Privato” deve diventare un mantra. Dopo oltre 20 anni di scempio attuato dai privati in tutti settori pubblici, dall’energia elettrica, rifiuti e gas, che ha sottratto ingenti risorse ai Comuni utilizzati per finanziare e garantire servizi sociali, è ora di invertire la rotta.
    Bisogna fare nostre le posizioni e le proposte di legge espresse dalle associazioni aderenti al Forum dei Movimenti Sociali (5). Basta osservare anche l’impotenza reale dei Governi difronte al prossimo aumento del Gas e dell’elettricità. Un processo che si può e si deve invertire cominciando a rivendicare il ritorno alla gestione pubblica (6) che non è solo un dovere per il diritto alla vita ma un atto democratico espresso e mai applicato, nonostante un diritto sancito con un referendum. Perchè c’è un legame stretto tra Democrazia e diritti, pena la richiesta di soppressione della prima in virtù di libere ed individuali scelte che eliminano e relegano gli Stati a meri gestori dell’ordine pubblico o di repressione.
    Mobilitarsi ora e subito è quantomeno necessario tenendo conto anche che proprio in questa ultima finanziaria, in applicazione al PNRR il Governo Draghi con il Ddl Concorrenza, approvato il 4 novembre scorso si afferma che la gestione in proprio da parte di un Comune dei servizi pubblici locali va considerata inusuale, straordinaria e residuale.

    (..) Gli enti locali che vogliano gestire in proprio un servizio dovranno produrre “una motivazione anticipata e qualificata (…) del mancato ricorso al mercato” e sottoporsi a una “revisione periodica” per “giustificare le ragioni del mantenimento dell’autoproduzione”. Per assicurare “un’adeguata valorizzazione della proprietà pubblica” il governo, oltre a privatizzare la gestione dei servizi, si occuperà anche di rivedere “i regimi di proprietà e gestione delle reti, degli impegni e delle altre dotazioni, nonché della gestione dei beni in caso di subentro”.(7)

  • Potenziamento della Sanità e servizi sociali e contrastare il processo di privatizzazione della Sanità pubblica. Mai come ora, infatti, dopo due anni di pandemia, si è visto chiaramente emergere la scarsità di risorse messe in campo e le difficoltà di elargire servizi seri e di protezione. Anche nella cura degli anziani affidati sempre più a imprese private della cura con protocolli di cura limitati. Non a caso, nei fondi del PNRR, la Sanità ottiene solo l’8% del totale. Quindi, nessun assunzione per il potenziamento della Sanità pubblica, anche in sostituzione dei prossimi elevati numeri di pensionamenti. Nessun serio progetto di controllo finalizzato a limitare anche la libera interpretazione l’emergenza virus delle singole regioni e che tanto ha impedito d’intervenire nella gestione di questa pandemia (8)
    Basti guardare i dati di mortalità delle RSA e la precarietà e il numero dei contagi dei lavoratori dei servizi appaltati per la loro cura. Per non parlare delle difficoltà che i Servizi Sociali di ogni singolo comune stanno affrontando per reggere la disperazione sociale che cresce ogni giorno e che se non “ammortizzata” porterà a creare sacche di emarginati e “inesistenti” ai bordi delle grandi città non solo metropolitane.
    Come prima mossa, va eliminato dai contratti il welfare aziendale ed in particolare la sanità complementare che già da ora sta evidenziando il limite d’efficienza e di tenuta sul mercato anche a fronte di versamenti costanti e sicuri. Basti vedere la scandalosa questione della crisi del più importante fondo d’integrazione sanitaria dei Metalmeccanici Metalsalute (9) e la vicenda Previmedical (10)

Una cosa è certa: la storia volge verso la necessità dei mercati di avere sempre più campo libero, per accumulare profitti. Anche questa nuova fase di riconversione “Energetico ed Ambientale” rischia di essere utilizzata più che altro come grimaldello per scardinare vecchi equilibri e ristabilirne dei nuovi controllati da grandi multinazionali. Questo sarà possibile farlo solo grazie ad una nuova forma di “Democrazia Autoritaria” sorretta da Governi ed intermediari sociali che abbiano come principale scopo il mercato e l’abbattimento delle sue regole di contenimento. Un esempio è dato anche dall’attuale Governo di Unità Nazionale e il suo facile ed insensato rinnovo, ai fini pandemici, dello Stato di Emergenza. Un processo di destabilizzazione che, una volta avuto il consenso plebiscitario attraverso le votazioni, non necessiterà più di corpi intermedi di riferimento ma di uomini illuminati che sappiano dare risposte dirette e di parte.
Tutte questioni spinose che non possono essere lasciate fuori dalla discussione congressuale CGIL prevista nel 2022.

Link di approfondimento

0 – http://alkemianews.it/index.php/2021/03/05/86-lavoratori/

1 – https://poterealpopolo.org/fermiamo-le-delocalizzazioni/

1.1 – http://alkemianews.it/index.php/2021/07/28/gkn-licenziati/

2 – https://www.ilfattoquotidiano.it/in-edicola/articoli/2021/12/27/ft-il-reddito-minimo-universale-e-meno-costoso-e-piu-utile-di-quanto-si-pensi/6437965/?fbclid=IwAR3VXdC4RQ8dFdQzFLjOYhnXM9v2X1w0jVAaa0uVaIIseisoLcMmhASffxw

3 – https://www.huffingtonpost.it/entry/un-governo-in-germania-nasce-sotto-una-cattiva-stella-ma-sopra-fondamenta-solide_it_619e86c4e4b07fe20114c0aa

3.1 – https://www.affaritaliani.it/politica/politici-sindacati-peggiori-al-mondo-italia-unica-con-salari-giu-in-30-anni-770365.html

4 – https://www.infodata.ilsole24ore.com/2021/10/24/lindice-gini-le-nuove-mappe-della-disuguaglianza-italia/?refresh_ce=1

5 – https://www.attac-italia.org/riprendiamoci-il-comune-2/

6 – https://www.attac-italia.org/acqua-bene-comune-2/

7 – https://www.attac-italia.org/curare-la-democrazia/

8 – https://www.attac-italia.org/cosa-bolle-in-pentola-per-la-salute/

9 – https://www.editorialedomani.it/economia/disuguaglianze/i-metalmeccanici-restano-senza-sanita-integrativa-spksskfn

10 – https://www.altroconsumo.it/salute/dal-medico/news/previmedical