Il Popolo Ezida
Shengal, nord ovest dell’Iraq, è una regione montuosa al confine con la Siria, Turchia e Iran, dove si stende la vasta piana di Ninive, al cui centro sorge la montagna Shengal, catena montuosa lunga un centinaio di chilometri che divide a metà il nord e il sud del territorio ezida. E’ una regione preda degli interessi regionali, centrali iracheni ma anche internazionali. Lo stato iracheno sta anche costruendo un muro lungo il confine con il Rojava, come quello già costruito dalla Turchia.
Il popolo ezida è un popolo ricco di storia ma poco conosciuto, è una minoranza culturale e religiosa discriminata da molto tempo. Vivono qui da centinaia di anni dopo aver sopportato invasori, conquistatori e colonizzatori che si sono succeduti dai persiani ai britannici passando dai turchi ottomani. La comunità, dopo la liberazione dall’Isis, sta tentando di ricostruire una propria autonomia e di ritornare alla montagna, ed è per questo che oggi viene vista come un pericolo.
Gli ezidi furono cacciati dalla loro montagna nel 1975 dal partito Baath iracheno e trasferiti in villaggi collettivi a valle. Sulla montagna vivevano di pastorizia e agricoltura, attività floride grazie alle sorgenti d’acqua quasi scomparse invece a valle. Fu solo un’operazione politica, strategica, di sostituzione delle minoranze etniche e religiose del nord Iraq, con la popolazione araba, attraverso la confisca delle terre. La montagna con le sue grotte naturali, i sentieri ripidi ed i tanti passaggi sconosciuti ai non residenti, era diventata una fortezza impenetrabile. Era quindi necessario spostare quei villaggi dalla montagna a valle per facilitare i controlli ed i pattugliamenti militari. Tutto questo iniziò dopo il 6 marzo 1975 con il Patto bilaterale tra Iran e Iraq (Accordi di Algeri) per determinare i confini geografici, le relazioni bilaterali ma, soprattutto definire i confini del fiume formato dalla confluenza tra Tigri e Eufrate (Shaṭṭ al-ʿArab) la cui giurisdizione fu tra i fattori scatenanti la guerra tra il 1980 e 1988 tra i due paesi. Inoltre, Teheran acconsentì di interrompere anche il suo sostegno alla ribellione curda. A seguito di questo, iniziò con la forza il trasferimento di circa 250mila persone, la maggior parte ezida, ma anche curdi, assiri, turkmeni dai loro villaggi in montagna ai villaggi a valle. La struttura sociale ezida fu così spezzata. A Shengal furono sgombrate 150 comunità rurali distruggendo frutteti, sorgenti d’acqua e case. Agli ezidi furono assegnati 450metri quadri di terreno a testa, ma senza averne la proprietà e 400 dinari dell’epoca per il materiale di costruzione. Furono costruite case in muratura ma senza lo spazio per le greggi o i campi, diventando così dipendenti dal governo iracheno che invece forniva loro pochissimi servizi. Ma dopo il massacro subito dallo Stato Islamico nel 2014, la vita in montagna è ripresa.
Gli ezidi non sono curdi, non sono musulmani, si sono da sempre differenziati per la loro religione: l’ezidismo, un antico credo per il quale sono stati molto spesso accusati di eresia. Sono sempre stati una cultura in conflitto con il sistema dominante. Nel corso dei millenni alcuni di loro hanno scelto l’integrazione nella vita sociale e politica degli stati, altri invece sono rimasti fedeli alla loro identità culturale. La mancata integrazione nei nuovi imperi che seguirono la comparsa e la diffusione dell’Islam in Medio Oriente, li portò quindi all’accusa di eresia. Sono monoteisti e sull’origine del loro culto quella più accreditata è che sarebbe la fusione di tre diverse dottrine: la zoroastriana, il cristianesimo e l’islam. Sono una società conservatrice, organizzata in tre caste: i sacerdoti, gli anziani e i discepoli.
Heso Ibrahim. Co-presidente dell’Autonomia democratica di Shengal, nel libro “La Montagna sola” di Rojbin Beritan e Chiara Cruciati, afferma che “noi ezidi siamo coloro che sono stati creati ai tempi della nascita dell’universo… L’ezidismo non ha profeti, è diverso dalle religioni. E’ un credo, è una filosofia, è un’etica. Noi crediamo nei quattro elementi: terra, acqua, vento e fuoco, senza di loro non c’è vita. Consideriamo sacra ogni cosa che non siamo in grado di creare… Per noi ezidi il numero sette è sacro: ai quattro elementi sulla terra l’ezidismo affianca altri tre elementi in cielo: il sole, la luna e le stelle.” La religione ezida ruota infatti intorno a sette angeli. Gli angeli corrispondono ai sette elementi importanti della prima mitologia nel Neolitico. Ma prima degli angeli, in realtà ci sono state sette dee alate che insegnarono alle donne come creare e proteggere la vita, ma che poi scomparvero piano piano nel percorso verso il monoteismo. Alla base dei monoteismi, la donna diventa colei che inganna, quindi la sua posizione naturale nella società, diventa quella di sottoposta. Il sistema patriarcale, nato all’epoca dei sumeri, che va velocemente verso il monoteismo, trasformò poi tutte le conquiste della rivoluzione neolitica in strumenti di potere, creando così le basi della schiavitù. L’assoggettamento della donna è dedotta dalla sua origine: nata dalla costola d’Adamo, Eva non esiste che per lui; ella non è onorata da una creazione personale. La chiesa non dimentica di ricordare che è stata Eva ad introdurre il peccato nel mondo, la maledizione e la morte. L’inferiorità della donna è dunque naturale! Per l’ezidismo, Adamo ed Eva non sono un uomo e una donna, ma elementi naturali: Adamo è acqua e sangue, mentre Eva è aria, che corrisponde all’anima. Per i musulmani, la direzione della preghiera è verso la Mecca, mentre per gli ezidi è verso il sole. Gli ezidi non sono gli adoratori del sole, ma bensì i suoi figli.
Il Genocidio
L’avanzata islamica comincia il 6 giugno 2014 a Mosul e il 10 giugno l’intera città viene occupata. A fine giugno, Daesh aveva il potere incontrastato su una parte della Siria orientale, controllava Raqqa e una parte dell’Iraq occidentale. Il 29 giugno infatti nasceva lo Stato islamico. Ma sulla strada che collega Mosul alla Siria, c’era ancora un distretto libero: Shengal. Il mancato controllo di questo distretto avrebbe limitato l’azione di Daesh, quindi il 3 e 4 agosto 2014, iniziarono i giorni maledetti non solo per gli ezidi, ma anche per il mondo intero. Sul campo, nel distretto ezida, c’erano 25.000 forze irachene e 12.000 peshmerga con il compito di proteggere la popolazione contro l’invasione, ma, sono stati abbandonati da tutti. Daesh infatti dava vestiti ai peshmerga e loro in cambio gli consegnavano le armi. Ogni peshmerga cedeva la propria arma per un vestito diverso dall’uniforme, lo indossava e scappava.
Sono state così rapite e vendute come schiave sessuali 6.700 donne ezide, ai mercati di Raqqa e Mosul (ad un prezzo tra i 5 e 20 $), mentre uomini, vecchi e ragazzi sono stati uccisi, decapitati, trucidati e sotterrati in fosse comuni. Anche i bambini sono stati oggetto di loschi traffici. Molti sono stati venduti per pochi dollari a trafficanti arabi, mentre altri venivano indottrinati per aumentare così le milizie di Isis. Durante l’attacco Daesh ha anche distrutto 19 santuari religiosi. I miliziani non hanno incontrato resistenza. Coloro che sono riusciti invece a fuggire sul monte Sinjar sono stati poi subito assediati da Daesh. La loro fuga, purtroppo, non è stata una fuga verso la salvezza, ma tutt’altro. Migliaia di uomini, donne, bambini sono rimasti intrappolati in un luogo dove la temperatura supera i 50 gradi senza acqua, cibo e assistenza medica. Il presidente degli Stati Uniti Obama, su richiesta del governo iracheno, a questo punto, annuncia un’azione militare in difesa degli ezidi assediati. Forze americane, irachene, inglesi, francesi e australiane con aerei ed elicotteri cercano così di lanciare gli aiuti necessari alla loro salvezza. Purtroppo, centinaia di ezidi trovano la morte prima che il Pkk e le unità curde siriane del Rojava siano in grado di aprire un corridoio dalla Siria al Monte Sinjar in tutta sicurezza. Secondo i dati riportati da uno studio pubblicato sulla rivista medica “Plos Medicine”, sono morti circa 3.100 ezidi ed altri 6.800 sono stati invece rapiti.
Due anni fa, si sapeva che le fosse comuni erano 89, ma oggi ne hanno trovato altre 4 in montagna. Aprire una fossa comune non è semplice, ci vuole prima di tutto l’autorizzazione del governo, cosa che chiedono da anni le donne di Shengal, riesumare i resti umani, fare test per il Dna e, al termine di tutte queste operazioni, dare alla persona una degna sepoltura. Quindi, si rimane in attesa…
E’ stato stimato che nei 700 anni in cui si ha notizia dell’esistenza di questa comunità, il numero dei morti per motivi religiosi abbia raggiunto la cifra di 23 milioni di persone. Purtroppo anche la storia recente di questa comunità è, ancora una volta, una storia di discriminazione, sopraffazione e violenza. Gli ezidi affermano infatti di aver subito nel tempo 73 “ordine di massacro” o “decreto imperiale”(Ferman) che arrivano poi a 74 con quello perpetrato nell’agosto 2014 dai miliziani di Daesh.
Da ricordare anche l’ambiguità dell’Occidente nei confronti di questo genocidio, a partire proprio dall’allora Presidente del Consiglio Matteo Renzi, che il 20 agosto di quell’anno, fece il suo primo viaggio da Presidente di turno del Consiglio Europeo in Iraq, per incontrare Mas’ud Barzani, promettendo armi italiane per aiutare chi stava resistendo a Daesh. Le armi promesse da Renzi «ai curdi» furono sostanzialmente inviate ai curdi “sbagliati”: non a chi resisteva contro Daesh e salvava migliaia di persone, ovvero le forze di autodifesa del Pkk, ma a chi invece gli aveva aperto la strada, i peshmerga, addestrati anche dall’esercito italiano. La guerra che si combatte oggi è per lo più una guerra tra gruppi politici, sociali, etnici. La posta in gioco è la sopravvivenza fisica e il dominio di un solo gruppo. Il fine è lo stermino totale del nemico e le donne e i bambini diventano veri e propri obiettivi di guerra. Nelle guerre etniche, la donna è identificata come “nemica”e pericolosa, non solo perché donna del nemico, ma anche come generatrice di futuri avversari. Sono stuprate perché considerate un legittimo bottino di guerra. Oggi lo stupro costituisce una delle armi a disposizione dei combattenti per annientare l’etnia nemica.
La Resistenza di Shengal
Nel XX secolo, il popolo ezida ha subito molte aggressioni nello Stato nazionale iracheno sia in era monarchica che repubblicana. Saddam Hussein aveva poi inserito gli ezidi nella sua strategia di arabizzazione del paese, con la conseguente deportazione di curdi e ezidi dall’Iraq settentrionale, facendo occupare i loro territori dagli arabi. E’ il susseguirsi di queste violenze che ha dato inizio alla diaspora della comunità verso l’Europa, in particolare in Germania, dove ancora oggi si trovano circa 165.000 ezidi. Diaspora che mette in pericolo la loro cultura e tradizione. Più ci si allontana dai luoghi natii e dalle tutele dei capi religiosi, maggiore è il rischio di scomparire definitivamente.
La resistenza di Shengal è stata volutamente occultata proprio perché poteva essere un’ispirazione per altri popoli e per mantenere quindi la situazione di com’era prima del 2014. La narrazione della comunità internazionale ha sempre dipinto la società ezida solo come una vittima senza capacità di un pensiero politico, a cui le Nazioni Unite ed altre organizzazione dei diritti umani, offrivano una semplice solidarietà e niente di più. Gli ezidi che vivono a Shengal vivono situazioni diverse: c’è chi resiste, chi scappa e chi collabora con i poteri regionali che attaccano l’Autonomia ezida. Per uscire da questa situazione, c’è solo il Confederalismo Democratico, una rivoluzione del pensiero e della mentalità per costruire la “nazione democratica” che si oppone a quella costruita all’interno di confini statali. I tre pilastri fondamentali sono: democrazia, libertà delle donne ed ecologia che si organizzano tramite un autogoverno e un’autodifesa. Il Confederalismo ha trasformato i “sudditi” in persone che hanno diritti e che partecipano ad una vita sociale che non discrimina per religione, genere ed etnia. E’ un tipo di organizzazione che funziona in villaggi o luoghi abitati da 10/20mila persone, come può essere a Shengal, Makhmour e in Rojava. Difficile da immaginare nelle nostre metropoli, ma si potrebbe prendere in esame alcuni esempi, sui quali è costruita questa nuova piattaforma politico-sociale sulle basi del municipalismo libertario e dell’ecologia sociale, se si volesse veramente cambiare il nostro stato di cose.
Shengal e Makhmour si trovano ad un centinaio di chilometri dal confine turco. Per questo Erdogan, per raggiungere i suoi scopi, prova ad attaccare queste località sul territorio iracheno sia con i droni che stringendo accordi e facendo pressione sulle due principali autorità irachene, che hanno anche loro interesse a dover contenere l’espansione del Confederalismo democratico.
L’Accordo di Shengal
L’accordo Shengal del 09/10/2020 tra il governo regionale del Kurdistan (Erbil) e quello centrale iracheno (Baghdad) in coordinamento con le Nazioni Unite in Iraq (Unami) senza nessun coinvolgimento dell’Autonomia di Shengal, rappresenta l’ostacolo per la completa realizzazione del suo programma e il rientro della sua popolazione. Per le N.U questo accordo è naturalmente positivo perché, secondo il loro giudizio, andrebbe verso un futuro migliore per la ricostruzione della regione rafforzando le relazioni tra Erbil e Baghdad. Shengal è sempre stata un’area contesa tra le parti. Nonostante la sconfitta dell’Isis, la regione continua ad essere instabile proprio per questi motivi. Questo accordo è stato siglato sulla testa del popolo ezida di Shengal senza averlo ascoltato. Ma sono gli ezidi che hanno subito le violenze, il massacro, che si sono salvati da soli con le Unità di difesa del popolo, ma nonostante tutto questo, sono rimasti esclusi dalle trattative che riguardano il loro stesso futuro.
Fino al 2020 c’è stato un dialogo con lo stato per trovare una soluzione per Shengal. Si discuteva dello status amministrativo e politico dell’autonomia e della relazione tra Ybs/Yjs (unità di autodifesa ezida) e Asayis (forze di difesa interna) e le forze armate irachene. Sempre per le Nazioni Unite, l’accordo dovrebbe far prevalere gli interessi della popolazione, consentendo il ritorno degli abitanti alle loro abitazioni, migliorare i servizi pubblici e accelerare la ricostruzione.
Tutto cambia nel 2020. Il dialogo si interrompe e il governo di Baghdad viene ingaggiato nel piano di disfacimento dell’autogoverno ezida, fino a quel momento portato avanti da quello regionale e dalla Turchia che dal 2017 aveva iniziato a colpire con droni, aerei da guerra e uccisioni mirate dei leader politici degli ezidi. Nel maggio 2020, il governo passò dalle mani del primo ministro filoiraniano Abdul Mahdi a quelle di al Kadhimi, ex capo dei servizi segreti iracheni e noto per le sue posizioni filooccidentali e filoturche. La Nato voleva colpire l’Iran e il Pkk. Gli Stati Uniti hanno sostenuto la candidatura di Kadhimi che ha ottimi rapporti con i sunniti e il clan Barzani. E’ sotto il suo mandato che l’atteggiamento verso Shengal da parte delle autorità centrali, cambia: non più dialoghi ma attacchi militari e minacce politiche. E l’esempio più chiaro è proprio l’Accordo di Shengal con l’obiettivo di ripristinare e normalizzare la situazione del distretto ezida.
L’intesa prevede il disarmo delle forze di autodifesa per doversi poi integrare nell’esercito iracheno, nella polizia federale e nei peshmerga e lo smantellamento dell’Amministrazione autonoma a favore del ripristino della piena autorità dello stato. Le Nazioni Unite per nascondere l’intento di eliminare la volontà politica ezida, propone di trasformare le Assemblee del popolo e le altre istituzioni dell’Autonomia in associazioni tipo Ong, ma senza nessun potere decisionale ed esecutivo.
(continua 2°p.)
(Testo Appello per il riconoscimento di genocidio del popolo Ezida)
(Il Genocidio Ezida: Un popolo intero ne chiede il riconoscimento)
20 giugno 2023
Fonti: Libro “La Montagna Sola” di Rojbin Beritan e Chiara Cruciati – articoli di Chiara Cruciati da “Il Manifesto”
Foto reportage: Mirca Garuti (red. Alkemianews.it) e siti on line pro Kurdistan.