Mustafa Bayram, nuovo Ministro del Lavoro libanese, ha sostenuto, durante l’incontro con la delegazione dell’associazione “Per non dimenticare Sabra e Chatila”, che “I palestinesi devono poter lavorare in Libano”.
E’ la prima volta che un Ministro del Lavoro incontra la delegazione italiana durante l’annuale viaggio nei campi profughi palestinesi in Libano. E’ anche la prima volta che un Ministro ribadisce la sua vicinanza alla causa palestinese e, in particolare, ai profughi palestinesi in Libano. Sembra quasi che la presenza del partito Hezbollah in questo ministero abbia dato una nuova speranza ai profughi palestinesi in Libano.
Il Ministro non usa mezzi termini:
“I palestinesi in Libano non devono subire l’ingiustizia due volte: sottomessi da Israele e in un paese dove non gli è concesso lavorare”.
E’ infatti per questo motivo che l’impegno del Ministro è concentrato soprattutto nel riuscire ad allargare lo spazio che riguarda proprio le possibilità professionali concesse ai profughi palestinesi dal governo libanese.
Uno spazio che continua ad essere limitato da ben 75 anni e che non permette ai palestinesi di poter lavorare e così vivere in Libano una vita dignitosa.
Un obiettivo, come da lui steso ammesso, non facilmente raggiungibile.
“Questi cambiamenti legislativi devono però trovare l’accordo di tutti i gruppi parlamentari. Il cambiamento parte dalle idee ma cambiare le coscienze non è facile”.
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Ad esempio, ha ottenuto un parere favorevole dall’associazione degli infermieri libanesi, all’apertura professionale agli infermieri palestinesi. Un’apprezzabile concessione, secondo noi da cogliere per altri settori come ad esempio quello per medici palestinesi, a causa anche del fatto che ben 3000 medici libanesi hanno lasciato il paese.
Mentre il Ministro afferma che il lavoro dei palestinesi deve essere rispettato, non nasconde tutte le difficoltà istituzionali perché questo possa avvenire. Ovvero alcune forze politiche, se da un lato difendono i propri interessi, altre rifiutano anche solo di parlarne, rasentando un vero proprio razzismo.
Lascia oltremodo perplesso le sue affermazioni secondo cui “I sindacati palestinesi, dovrebbero incontrare tutte le forze politiche libanesi e sindacali per stipulare un accordo” quando nella realtà tale sindacato, se esiste, non è ufficialmente riconosciuto come interlocutore istituzionale e politico.
Ammette che:
“E’ accertato che la popolazione immigrata o profughe che completa l’occupazione professionale in Libano, è palestinese e, come tale, è giusto che sia accettata nel mondo del lavoro di questa nazione”.
Un’affermazione che non può che rendere incomprensibile come mai, ancora oggi, non vengano riconosciute le giuste professionalità anche ai palestinesi.
Alla base riteniamo sia legato la convinzione libanese che tale riconoscimento potrebbe far desistere i palestinesi dal pretendere il Diritto al Ritorno in terra di Palestina. Nulla di più falso, perché i profughi palestinesi, soprattutto le nuove generazioni, non hanno scordato e vogliono tornare nella loro terra.
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La battaglia per i diritti dei profughi palestinesi continua sul versante dell’assistenza sociale. I lavoratori immigrati versano i contributi per il fondo sociale pensionistico ma non avranno in realtà la possibilità di usufruirne.
A questo proposito, il ministro ha pensato di istituire una commissione di controllo che avrà il compito di verificare la correttezza degli importi versati. Operazione istituzionale molto importante che però potrebbe essere impedita anche a causa di una precedente legge approvata in merito. Da qui il ritorno al problema iniziale riguardante la questione degli equilibri istituzionali delle forze politiche parlamentari.
Nonostante il ministro abbia affermato che, grazie anche alla nostra battaglia, questo obiettivo potrà essere raggiunto, la strada è ancora assai difficile, ma la speranza di un possibile cambiamento sembra oggi più probabile.