Sotto lo slogan “L’ultimo giorno di occupazione sarà il primo giorno di pace”, sabato 24 febbraio, a Milano si è svolta la manifestazione per la Palestina per chiedere la fine del genocidio a Gaza e il riconoscimento del diritto dei palestinesi alla loro autonomia e al loro Stato.
di Carla Gagliardini
Giornali e telegiornali hanno riferito di circa 15.000 persone ma la sensazione è stata che fossero molte di più. Il corteo ha sfilato da piazzale Loreto a largo Cairoli, percorrendo dunque il centro della città, come richiesto dagli organizzatori, e ci sono volute più di tre ore prima che la coda potesse entrare a Cairoli.
La Palestina, non c’è niente da fare, unisce i popoli e lo dimostrano le piazze che dal Medio Oriente al Sudamerica, dall’Europa all’Asia e all’Africa mobilitano centinaia di migliaia di persone, di ogni generazione (quanti giovani ieri, non solo di origini arabe), con un solo grido che chiede di fermare la guerra a Gaza e di garantire ai palestinesi la costituzione del loro Stato.
Nella piazza c’è consapevolezza di come oggi più che mai sia difficile trovare una quadra che consenta la realizzazione del legittimo diritto dei palestinesi alla loro autonomia (due popoli due Stati? Uno Stato per due popoli?) perché Gaza è distrutta e la Cisgiordania, di cui si parla troppo poco, vive di raids notturni da parte dell’IDF (Israel Defence Forces), della violenza dei coloni, delle porte delle prigioni israeliane sempre aperte per buttarci dentro dei palestinesi, e che importa se ci sono anche dei minorenni, trattenuti sotto detenzione amministrativa*. Il lavoro, che era già poco, ora è pressoché scomparso. Questa è la Cisgiordania.
A Gaza si sta drammaticamente peggio. Rumore delle bombe, notti insonni, macerie, fame, sete, mancanza di cure, tanti mutilati e tanta morte a causa di una guerra che fa strage di “civili”.
In piazza a Milano, a sfilare tra le migliaia di persone, c’erano anche bambini e genitori appena usciti dall’inferno di Gaza. Difficile sapere che cosa portino nel cuore e nella mente, non solo perché a impedircelo è la lingua differente che parliamo ma anche perché le sofferenze non sono sempre la cosa più semplice da narrare, soprattutto agli estranei. Chi quegli adulti li conosce da tempo, percepisce lo strazio nei loro occhi che hanno uno sguardo diverso da quello che fa parte del ricordo. Ma lo vede anche in un corpo che ha patito la fame e si è fatto sottile.
Un momento di potenziale tensione c’è quando il corteo arriva nei pressi dell’Ambasciata degli Stati Uniti ma non succede nulla, a parte un lancio di uova. La polizia presidia e blocca l’accesso alla via ma senza manganellate. L’aggressione agli studenti e alle studentesse a Pisa, del giorno precedente, e l’ammonimento alle Forze di polizia del Capo dello Stato Mattarella forse hanno insegnato qualcosa, almeno per ieri. Chi aveva deviato dal corteo, rientra.
La manifestazione prosegue e qualcuno dei manifestanti riceve messaggi da Gaza. Lo sconforto gela chi li ascolta: Israele ha comunicato che attaccherà in tre punti a sud della Striscia. Le persone che si trovano lì sono “invitate” a trovarsi una nuova sistemazione, meno pericolosa, di certo non al salvo. “A Gaza non c’è nessuno posto sicuro!”, come ha detto più volte il Segretario delle Nazioni Unite e molti dei suoi collaboratori, oltre alle organizzazioni internazionali ancora presenti nella Striscia. “Ma scappare dove?”, si chiedono, se anche durante queste fughe cadono bombe lungo i cammini della disperazione? Allora lo sguardo cade su quella moltitudine di gente venuta da diverse parti d’Italia per dire basta a questa strage e ritorna il sentimento di impotenza che accompagna le giornate.
“Le piazze del mondo si sono mobilitate ma non è cambiato nulla! E’ chi comanda che non vuole che cambi nulla, chi potrebbe fare e non fa!”.
Sentimento comune che non può che fare alzare lo sguardo per rivolgerlo a quella parte di mondo che si vanta di essere l’“Occidente democratico” che ha solo da insegnare e nulla da imparare e che sulla vicenda in corso a Gaza ha messo in mostra, ancora una volta, l’ipocrisia a cui ha abituato il pianeta.
L’ennesimo veto statunitense al Consiglio di sicurezza dell’ONU di pochi giorni fa è solo una delle tante conferme. Quell’“Occidente democratico” che impedisce alle bandiere palestinesi di sventolare nelle piazze di alcuni Paesi europei, che mena i ragazzini e i giovani che manifestano per l’ambiente e per la Palestina, che è insofferente alla povertà e quindi la punisce con politiche che escludono invece di includere.
E non è che uno voglia sempre e necessariamente mettere sotto accusa il democratico Occidente, considerato da molti e da molte il luogo migliore dove vivere (a scapito di chi?, viene da domandarsi). Può essere che sia anche così. Forse non per tutti però e il pensiero va alle periferie delle grandi città italiane e europee dove il disagio economico-sociale è evidenziato da diversi studi. E se fosse anche così, questo certamente non lo solleverebbe dalle responsabilità che ha anche sulla questione Gaza, anzi, considerandosi il paladino della democrazia, le aggraverebbe pesantemente.
Guardando negli occhi quelle famiglie palestinesi da poco in salvo, con poche ore di riposo sulle spalle eppure già in piazza con i loro bambini, lontane dalle bombe che miracolosamente non le hanno colpite, la manifestazione assume ancora più senso e ci ricorda che manifestare per un mondo più giusto non è solo un diritto delle manifestanti e dei manifestanti, ma è anche un dovere di tutti e tutte noi.
25 febbraio 2024
* “La detenzione amministrativa prevede che un individuo sia detenuto sulla base di motivi segreti di sicurezza, che non possono essere sottoposti a ricorso. In questo modo, viene aggirata la garanzia di un giusto processo che il diritto internazionale prevede per ogni persona privata della libertà” – fonte Amnesty International Italia.