KURDISTAN: TRATTATO DI LOSANNA – CENT’ANNI DI SOLITUDINE

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Il popolo curdo viene definito la più grande popolazione senza stato al mondo. Circa quaranta milioni di persone la compongono e vivono sul territorio di quattro stati diversi: Turchia, Siria, Iraq e Iran. Nonostante una storia ultra millenaria alle spalle, questo popolo, nell’epoca della costituzione degli stati, non ha visto mai realizzare il sogno della creazione di uno proprio, riconosciuto internazionalmente e capace così di determinare il proprio cammino senza l’asfissiante e spesso letale ingerenza dei paesi entro i cui confini, disegnati a tavolino, vivono.

di Carla Gagliardini*

Nella storia contemporanea, la popolazione curda ha per un frangente brevissimo pensato che fosse arrivato il momento dell’avverarsi di quel sogno. La speranza era riposta nel Trattato di Sèvres, firmato da Francia, Grecia, Italia, Regno Unito e Giappone da un lato e Turchia dall’altro, nella omonima cittadina francese il 10 agosto 1920, con il quale si prevedeva la creazione di un Kurdistan indipendente che doveva includere anche la regione sud-orientale della Turchia. Il Trattato era un colpo durissimo inferto all’Impero Ottomano, che spariva di scena, e segnava un fortissimo ridimensionamento, anche in termini regionali e quindi di territorio, della Turchia. Nella nuova definizione dei confini, anche la popolazione armena otteneva un riconoscimento e così i territori dell’Anatolia Orientale, abitati in grande maggioranza da armeni, venivano consegnati a questa.

Ma il Trattato di Sèvres non fu mai ratificato, ad eccezione della sola Italia, e il sogno curdo era destinato ad infrangersi contro il Trattato di Losanna del 24 luglio del 1923, siglato dalle stesse parti del Trattato precedente con l’aggiunta del Belgio, della Romania e del Regno dei Serbi, Croati e Sloveni, che poneva fine al conflitto greco-turco (1919-1922).
Con il Trattato di Losanna la Turchia riconquistava pezzi di territorio che il Trattato di Sèvres le aveva negato ma delle aspirazioni del popolo curdo non si fece parola. Ai curdi fu impedita persino la possibilità di avere un rappresentante che potesse interloquire con le parti, ossia quelle potenze mondiali che stavano disegnando nuovi confini sul mappamondo, avanzando legittime rivendicazioni sul proprio avvenire.
Per il popolo curdo il Trattato di Losanna rappresenta la negazione di un diritto, quello all’autodeterminazione, e l’abbandono da parte delle potenze mondiali della causa curda. La giornata del 24 luglio viene dunque ricordata dai curdi per non dimenticare il torto subito; per la Turchia è invece un giorno di festa perché in quel 1923 ripristinava la sovranità territoriale ambita, che non le era stata concessa dal trattato di Sèvres. 

Lo scorso 22 luglio migliaia di curdi della diaspora che vivono in diverse parti d’Europa si sono ritrovati a Losanna per una manifestazione che ricordasse al mondo il torto inferto al loro popolo cento anni prima. Tantissimi/e giovani curdi, che stanno ereditando dalle generazioni precedenti il senso della loro storia, hanno partecipato all’iniziativa e hanno sfilato con slogan, musica, vestiti tradizionali e balli per le strade di Losanna, insieme ai loro genitori e ai loro nonni, da Place de la Navigation, luogo di partenza del corteo, fino a Palais de Ruimine, luogo dove il Trattato fu firmato.

Guardando all’oggi, il Trattato di Losanna ha condannato la popolazione curda a cento anni di solitudine, perché ignorata dalle potenze mondiali che muovono le fila del mondo, e l’ha costretta a vivere entro i confini di altri stati dove le angherie e gli attacchi quotidiani, tesi all’annientamento, all’allontanamento e al genocidio di questo popolo sono ripetuti. Ha lasciato un popolo intero sprovvisto di una protezione, a parte i richiami retorici che si scrivono su pezzi di carta che sono ricchi di proclami da “persone per bene” sensibili ai diritti umani che però, per interessi non strettamente “umani”, si disinteressano della loro applicazione.
In questi ultimi cento anni il popolo curdo, ovunque viva nei quattro stati su cui è sparpagliato, ha visto le proprie città rase al suolo e le proprie case saltare in aria, ha respirato i gas assassini dell’Iraq di Saddam Hussein (2), ha sofferto la galera con l’accusa infamente di terrorismo, ha visto negato l’uso della propria lingua madre, ha visto bruciare i sogni delle giovani generazioni che si sentono discriminate, private di opportunità all’interno dello stato di cui, forse anche un po’ controvoglia, sono cittadine.

Un vento nuovo ha cominciato a soffiare nelle valli e sulle montagne abitate dai curdi e dalle curde: in Rojava, come a Makhmour e Shengal si tenta un approccio diverso alla “questione curda” (3). E’ il vento del “confederalismo democratico” di cui Abdoullah Ochalan è l’ispiratore, che guarda al mondo con occhi moderni e che nell’ecologia, nelle donne e nel rispetto dei popoli vede il possibile cammino da intraprendere per scongiurare nuovi conflitti e l’autodistruzione.

Dopo due giorni intensi di lavoro e confronto fra i circa seicento delegati provenienti dai quattro stati in cui la popolazione curda vive, il 24 luglio scorso si è tenuta nella stessa Losanna la conferenza stampa che ha riportato la dichiarazione finale (1) di condanna del Trattato, richiedendone la cancellazione. Con la dichiarazione viene inoltre chiesto che venga ufficialmente riconosciuto come Kurdistan ogni territorio presente nei quattro stati (Turchia, Siria, Iraq e Iran) in cui la popolazione curda vive e che sia riconosciuta a livello internazionale l’autodeterminazione del Kurdistan, che dovrà conseguentemente entrare a far parte del sistema delle Nazioni Unite. Tra le altre rivendicazioni si chiede alle Nazioni Unite, all’Europa e agli Stati Uniti di fare pressione sul governo di Ankara affinchè conceda un’amnistia politica generale, oltre a dare attuazione a quella parte del Trattato di Losanna che tutela le minoranze non musulmane. Nella dichiarazione un riguardo particolare ha la popolazione ezida che è stata nel corso della storia perseguitata incessantemente e che ha subito il tragico genocidio del 2014 ad opera dell’Isis, come conseguenza anche della voluta inerzia dell’esercito iracheno e dei peshmerga di Barzani che, scappando davanti all’avanzata della milizia dello Stato Islamico, hanno permesso la carneficina di questa popolazione.

Le richieste messe sul tavolo dai delegati e dalle delegate che hanno partecipato ai lavori preparatori della dichiarazione finale sembrano andare nella direzione di un senso di giustizia, intesa come cosa giusta da fare, ma la politica degli intrecci tattico-strategici, soprattutto in un periodo di ripresa dell’ideologia della guerra come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali, di blocchi commerciali e sanzioni che hanno ricadute sui prezzi dei beni, di forte contrazione della spesa pubblica nei paesi occidentali, primi destinatari delle rivendicazioni curde, potenzialmente capaci di scatenare un disagio sociale non più silente, pone un serio dubbio sull’interesse degli stati a dare un seguito positivo alle richieste curde, soprattutto quando Recep Tayyip Erdogan gioca un ruolo non secondario sullo scacchiere ucraino, libico e del medio-oriente che, a tratti, può apparire vantaggioso per gli interessi degli stessi paesi chiamati in causa.

1 agosto 2023

* foto e articolo

Link:

1 – http://uikionlus.org/dichiarazione-finale-della-conferenza-di-losanna/

2 – http://alkemianews.it/index.php/2019/06/10/dalla-prigione-di-saddam-hussein/

3 – http://alkemianews.it/index.php/2023/07/16/il-popolo-ezida/